Luiz Inàcio Lula da Silva, a 11 anni di distanza dal suo precedente mandato, è di nuovo il presidente del Brasile. Ad ufficializzarlo, dopo il ballottaggio di ieri, è stato il Tribunale superiore elettorale: il 50,83% dei voti (59.596.247) è andato a lui, contro il 49,17% che ha raccolto il suo avversario, Jair Bolsonaro (57.675.427). Una vittoria attesa da molti, risicata, sofferta ma che sa di riscatto e resurrezione. E non solo perché l’ex sindacalista e fondatore nell’ormai lontano 10 febbraio 1980, insieme a diversi intellettuali e a Chico Mendes, del Partido dos Trabalhadores (Pt), è stato costretto a scontare 580 giorni di carcere in seguito all’accusa di corruzione (successivamente le sue condanne sono state annullate). Il ritorno di Lula rappresenta l’unica alternativa per chi ora chiede maggiori diritti e nuove politiche contro la fame.
Un paese spaccato
Senza cedere al ricatto dell’agrobusiness, delle multinazionali o di chi alimenta le attività minerarie, Lula dovrà governare un Brasile spaccato dal populismo, dalle politiche discriminatorie di Bolsonaro, dal suo negazionismo: si contano oltre seicentomila morti a causa della mala gestione della crisi pandemica. Lo stesso Bolsonaro ultraliberista che ha attaccato continuamente l’Amazzonia, i popoli indigeni e le loro terre. Queste alcune delle parole di Lula nel discorso che ha pronunciato a San Paolo subito dopo i risultati:
«Un fiume di acqua limpida vale molto di più di tutto l’oro estratto a spese del mercurio che uccide la fauna e mette a rischio la vita umana. Quando un bambino indigeno muore assassinato dall’avidità dei predatori dell’ambiente, una parte dell’umanità muore insieme a lui» .
Sostenibilità e uguaglianza
Al presidente-operaio, cresciuto nella grande povertà, spetterà il compito di ricucire le ferite del Brasile, lanciando così un segnale di speranza a tutta l’America Latina, soffiando contro l’ondata reazionaria e conservatrice mondiale che non risparmia nemmeno l’Europa (si attendono i risultati per Netanyahu e le elezioni di metà mandato in Usa). Rendendo il suo Paese protagonista delle organizzazioni mondiali: Mercosur, G-20, UnaSul, Celac, Brics. Come ha spiegato Lula, sempre nel suo discorso, il Brasile deve guardare di nuovo con fiducia la democrazia. Sfidando la forte opposizione di destra in parlamento. E attuando una nuova economia, che sappia essere sostenibile e che, in linea con il programma Minha Casa Minha Vida, abbia come priorità le famiglie a basso reddito.
Scegliere la vita
Un programma capace di prendersi cura del popolo delle “favelas”, che lo ha accolto con fuochi di artificio. Emarginati che hanno occupato le strade e le spiagge per festeggiare la sua vittoria. E che ora credono in quel modello socialista che ha già sollevato 36 milioni di brasiliani dalla povertà estrema. E proprio da qui si può pensare a una ricostruzione sociale e civile: «È tempo di deporre le armi che non avrebbero mai dovuto essere impugnate. Le pistole uccidono. E scegliamo la vita» ha detto ancora il presidente, che si insedierà il prossimo 1 gennaio. E ancora:
«La sfida è immensa. È necessario ricostruire questo Paese in tutte le sue dimensioni. Nella politica, nell’economia, nella gestione pubblica, nell’armonia istituzionale, nelle relazioni internazionali e, soprattutto, nella cura dei più bisognosi. È necessario ricostruire l’anima stessa di questo Paese. E recuperare la generosità, la solidarietà, il rispetto delle differenze e l’amore per gli altri».