È di pochi giorni fa la proiezione, al Nuovo Cinema Aquila di Roma, del docu-film Ithaka di Ben Lawrence, sulla vicenda di Julian Assange, che rischia 175 anni in un carcere di massima sicurezza negli Usa per aver diffuso notizie vere attraverso il sito Wikileaks. Ma l’attivista e giornalista australiano non è il solo. Secondo l’annuale rapporto appena pubblicato da Reporter senza frontiere, l’organizzazione non governativa che promuove e vigilia sulla libertà di stampa e di informazione nel mondo, sono ben 533 i giornalisti attualmente imprigionati a seguito di accuse connesse con la loro attività. Un numero che spaventa, soprattutto se si pensa che è presumibilmente una cifra al ribasso, ottenuta contando i soli dati disponibili. Il 2022 è stato l’anno dei record, con un aumento del 13,4% degli arresti, tra cui si segnala il crescente numero di donne, mai così alto secondo quanto dichiarato da Rsf: ce ne sono ben 78 detenute al momento, il 30% in più rispetto al 2021.
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Cina, Myanmar e Iran
È la Cina, sempre secondo i dati contenuti nel rapporto, la maglia nera del giornalismo, il paese dove la sorveglianza si è fatta ancora più stringente da quando è iniziata la pandemia da Covid-19. Nella Repubblica Popolare, sono ben 11o i reporter privati della loro libertà, e tra questi c’è anche Huang Xueqin, freelance che nei suoi reportage aveva smascherato diversi episodi di corruzione, molti dei quali connessi a tematiche ambientali, oltre che casi di violenze e molestie sessuali. Non può mancare uno sguardo speciale rivolto all’Iran, in questi ultimi mesi centro di clamorose, coraggiosissime proteste eterogenee, che vedono coinvolti cittadini e cittadine di tutte le età ed estrazioni sociali. La Repubblica islamica con i suoi 47 reporter detenuti, si legge sul sito di Rsf, nel giro di un mese, ossia dall’inizio delle rivolte, è diventato il terzo paese con il più alto numero di giornalisti imprigionati, dopo la Cina, con il record assoluto di cui sopra e il Myanmar con 62 arresti. Rsf segnala che in carcere ci sono anche Nilufar Hamedi e Elahe Mohammadi, due reporter che hanno contribuito a diffondere la verità sulla terribile morte di Mahsa Amini, e che per questo sono state prontamente arrestate. Adesso rischiano la pena di morte. Un rischio sempre più concreto in questi giorni che hanno visto l’inizio delle esecuzioni pubbliche dei manifestanti arrestati.
Le dittature (e non solo) che imprigionano
«I regimi dittatoriali e autoritari stanno riempiendo le loro prigioni più velocemente che mai incarcerando i giornalisti. Questo nuovo record conferma la pressante e urgente necessità di resistere a questi governi senza scrupoli e di estendere la nostra solidarietà attiva a tutti coloro che incarnano l’ideale di libertà giornalistica, indipendenza e pluralismo», dichiara Christophe Deloire, segretario generale di Rsf. Tra i casi più eclatanti citati dal rapporto, quello di Ivan Safronov, uno dei migliori giornalisti investigativi russi, condannato a 22 anni di carcere (la condanna più lunga registrata da Rsf) per aver rivelato “segreti di stato” online. Una situazione, a ben pensarci, non tanto dissimile da quella di Assange.
Reporter uccisi in guerra
È aumentato anche il numero di giornalisti uccisi, più del 18% rispetto al 2021, ben 57 sono i reporter che hanno pagato con la vita il loro impegno. La guerra in Ucraina è una delle ragioni di questo aumento, ma va ricordato che non è l’unica, e che sono tanti i giornalisti che muoiono tutti i giorni in guerre e paesi “lontani” e ignorati. Il primo reporter morto nella guerra alle porte d’Europa è stato il freelance americano Brent Renaud, Rsf ricorda anche Maks Levin, fotoreporter ucraino barbaramente assassinato dai soldati russi, e Frédéric Leclerc-Imhoff, videoreporter francese del canale televisivo Bfmtv, ucciso dalle schegge di un proiettile esploso mentre copriva l’evacuazione di civili.
Le uccisioni in tempo di pace
Nel frattempo però, oltre il 60% dei giornalisti uccisi ha perso la vita in paesi considerati in pace nel 2022. Undici sono stati assassinati solo in Messico, quasi il 20% del numero complessivo di giornalisti uccisi in tutto il mondo. Le cifre del Messico, insieme a quelle di Haiti (con sei morti) e del Brasile (con tre morti) hanno contribuito a trasformare le Americhe nella regione più pericolosa del mondo per i media, con quasi la metà (47,4%) del numero totale di giornalisti uccisi in tutto il mondo nel 2022. Mesi fa aveva suscitato clamore la morte di Dom Phillips, giornalista britannico il cui corpo smembrato è stato ritrovato insieme a quello di Bruno Pereira, esperta guida locale, in una parte remota dell’Amazzonia brasiliana, dove si era recato per indagare sui tentativi di gruppi indigeni locali di combattere il bracconaggio, l’estrazione illegale d’oro e la deforestazione.
Ostaggi e rapimenti
Il rapporto di Rsf ricorda che sono 49 i giornalisti scompari, e 65 giornalisti e operatori dei media attualmente tenuti in ostaggio. Tra loro Olivier Dubois, un giornalista francese detenuto da più di 20 mesi dal Gruppo di sostegno per l’Islam e i musulmani (Jnim), un gruppo armato in Mali affiliato ad al-Qaeda. Nel rapporto compare anche il nome di Austin Tice, giornalista americano ed ex ufficiale dei marine rapito in Siria nell’agosto del 2012, pochi mesi prima di Jim Foley, il reporter rapito e giustiziato insieme ad altri giornalisti e cooperanti due anni dopo, nel 2014, dall’Isis di Jihadi John. Di Austin Tice non si hanno più notizie dal 2012.