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La scultura di Jago, dall’apparenza all’essenza

Il ritratto dell'artista italiano contemporaneo che ha raggiunto con le sue opere anche lo spazio, per mostrare la sacralità e la fragilità dell'essere umano
19 Gennaio, 2023
4 minuti di lettura

Come fa un blocco di marmo a prendere forma umana? A cadere in drappeggi, a corrugarsi nelle espressioni di un viso? Questo sicuramente è quello che in tanti si chiedono davanti a una scultura, dal greco Fidia al contemporaneo Jago, passando per Michelangelo, Bernini, Canova… Una forma d’arte che da quando esiste ha rappresentato quasi esclusivamente figure antropomorfe, riportandoci verso una volontà plastica che avvicina l’essere umano a quelle divinità che, insieme al Dio biblico, hanno permesso alla forma umana di emergere dal mondo terreno e minerale.

 

 Guarda il video sull’opera d’arte di Jago

 

Video making-of

E se in molti siamo rimasti incantati davanti a un drappeggio nel marmo o a un corrugamento in un volto scolpito chiedendoci  «Ma come avrà fatto…?» ecco che finalmente arriva Jago, al secolo Jacopo Cardillo, uno tra gli artisti italiani contemporanei più noti al mondo, che unendo alla sua
arte una attenta capacità comunicativa racconta al grande pubblico come nasce un’opera, svelando tecniche, errori, e successi. Forse il primo scultore, dopo Michelangelo, che riesce a raggiungere un pubblico così ampio e transgenerazionale, e lo fa utilizzando lo strumento dei social. Con oltre 105k su TikTok, 806k su Instagram, più di 300k su Facebook e quasi 40 mila iscritti al suo canale YouTube, Jago ha trovato il modo per raggiungere giovanissimi e boomer, offrendo contenuti di livello e togliendo il velo, materialmente e simbolicamente, a un modo tanto affascinante quanto difficile come quello della scultura. Le sue opere sono spesso accompagnate da video making-of, creati dall’artista stesso, che mostrano le fasi di realizzazione del lavoro.

«Amo il dietro le quinte delle cose. Quello che è veramente importante per me non è l’opera finita, ma il fare l’opera, il percorso dell’apprendimento che è fatto di difficoltà e fallimenti. Tutto quello che affronti ti porterà ad essere la persona che stai costruendo. Il dietro le quinte è il percorso».

Così Jago svela al mondo il percorso creativo che trasforma un parallelepipedo di marmo in volto, corpo, sofferenza, magrezza, vecchiaia, infanzia…

Cerco l’uomo dietro al personaggio

Lo svelare di Jago non riguarda solo la tecnica scultorea, ma si muove su piani simbolici e pervade tutto il suo percorso artistico. È una ricerca di umanità dietro l’apparenza. E forse ciò che veramente dà forma al marmo e lo rende comunicativo sul piano umano è proprio un’essenza, uno spirito che l’artista sa riconoscere e liberare. «Io intendo scultura quella che si fa per forza di levare» diceva Michelangelo riferendosi al lavoro dello scultore che libera le forme dalla materia, riconosce le vite imprigionate nel marmo e lavora per sottrazione affinché queste possano emergere e rendersi visibili. Cinquecento anni dopo Jago torna a liberare lo spirito umano dalla fissità della struttura e lo fa utilizzando di nuovo la scultura. Ora che conosciamo la perfezione delle forme, che siamo passati attraverso la decostruzione dell’immagine, la maestria torna per mostrare l’umano dietro l’apparenza. Per mostrare la sacralità della fragilità, della sofferenza, della vecchiaia. Nasce così la Venere, una donna anziana, dal corpo vissuto. Nuda, nella stessa posa della sua omonima del Botticelli, ma con la storia che le è passata sulla pelle. Il simbolo di bellezza per antonomasia, oggi non è più perfezione delle forme, ma verità.

Habemus Hominem

Ed è di nuovo l’essere umano dietro l’apparenza, oltre il ruolo, quello che emerge da Habemus Hominem, opera che oggi più che mai si trova sotto i riflettori. Un lavoro nato nel 2009 con la salita al soglio pontificio di Benedetto XVI, un ritratto del neo pontefice eseguito da uno Jago 22enne, e battezzato appunto Habemus Papam. L’opera riceve la prestigiosa Medaglia Pontificia e nel 2011 viene selezionata per la 54a Biennale d’Arte di Venezia. Due anni dopo Benedetto XVI sisveste dell’abito papale e Jago racconta questa spoliazione attraverso il suo lavoro. Un video making-of mostra come con lo scalpello, pezzo a pezzo, viene distrutto l’abito del pontefice, tolta la croce dal petto e mostrato l’essere umano, stanco, invecchiato, con la pelle cadente, nascosto dietro l’abito. L’opera è ribattezzata Habemus Hominem, come una liberazione, che dall’apparenza riporta all’essenza, e forse questo titolo è la più incisiva descrizione dell’intero lavoro dell’artista.

 

Guarda il video su Habemus Hominem di Jago

Dal mondo classico al contemporaneo

Con uno sguardo ai classici e una particolare sensibilità verso il contemporaneo, Jago riesce a entrare in dialogo con le opere che hanno formato il nostro gusto e il nostro immaginario e a condurle nel XXI secolo. La Pietà, mantenendo il titolo e le forme dell’opera michelangiolesca, vede comparire un’immagine maschile al posto della Madonna. Un diritto al pianto funebre che per secoli è stato precluso all’uomo, un segno di disperazione e impotenza che attanaglia l’essere umano indipendentemente dal genere. Nel volto maschile della Pietà di Jago è contenuta insieme alla sofferenza, una sorta di liberazione, una pace data dalla conquista maschile del permesso della manifestazione del dolore. E ancora con i Prigioni ritroviamo titolo e intento michelangiolesco, ma questa volta dal making-of emerge come il corpo imprigionato nel marmo sia un corpo femminile rannicchiato in un tentativo di protezione.

Qui il marmo sembra quasi diventare scudo, nicchia e ricovero, luogo in cui nascondersi piuttosto che materia dalla quale emergere.

 

Il figlio velato di Jago
Il Figlio Velato è l’opera di Jago ispirata al Cristo Velato di Giuseppe Sanmartino, rappresenta un bambino disteso coperto da un velo (Foto: Wikipedia).

 

E ancora nel FiglioVelato, opera esposta permanentemente nella Cappella dei Bianchi a Napoli, ritroviamo l’eredità del Cristo Velato di Giuseppe Sanmartino, il corpo coperto dal lenzuolo in questo caso è quello di un bambino. Un figlio, che è figlio di chiunque si lasci toccare dal dolore per la sofferenza degli innocenti. Un corpo che, nel nostro contemporaneo, non può non riportarci alla mente le troppe morti in mare di bambini migranti, tragedia che approda alle nostre coste coprendosi di discorsi propagandistici e demagogici.

Lancio spaziale verso il futuro

È del 2019, l’opera che porta Jago oltre il contemporaneo. Si tratta di un lancio, un’idea che si concretizza. È The First Baby, una scultura che entra nel palmo di una mano e ritrae un feto che si sta formando. Un nuovo essere umano, ma anche il primo, first perché prima opera ad aver viaggiato nello spazio da agosto 2019 a febbraio 2020 sulla Stazione Spaziale Internazionale Missione Beyond. Affidata all’astronauta Luca Parmitano l’opera è stata fotografata con la sagoma del nostro pianeta azzurro sullo sfondo, una Pacha Mama pronta ad accogliere una nuova vita fatta dall’incontro tra terra e cielo, a ricordarci che, come disse l’astrofisico Hubert Reeves, «siamo polvere di stelle».

 

 

 

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