Coppia piuttosto eccentrica, Antonio e Carlotta: dinosauro adrosauroide alto un metro e trenta e lungo quattro lui, squalo bianco di cinque metri e quaranta lei. Non sono i protagonisti di un film horror all’ultimo grido, ma le gigantesche mascotte del Museo Civico di Storia Naturale di Trieste. Da Oscar, questi due personaggi lo sono di sicuro: lo scheletro di Antonio è uno dei resti di dinosauro più grandi e completi al mondo, mentre Carlotta è il più grande squalo carnivoro conservato nell’emisfero settentrionale del pianeta. E come se non bastasse, per gli amanti delle emozioni forti, al museo di Trieste c’è anche la mandibola dell’Uomo di Lonche, in cui troneggia la prima otturazione dentale della storia, fatta con la cera d’api.
La nascita di uno storico museo e altre meraviglie
Ma andiamo per ordine. O forse no. Perché Trieste è anche la città della bora, che tutto scompiglia e rimescola con le sue raffiche turbolente. Ecco allora che i mille eventi e volti di questo melting pot finiscono per incrociarsi, caotici e imprevedibili, nel tempo e nello spazio. E così, si dice che anche il Museo di Storia Naturale della città, il più antico istituto scientifico del Friuli Venezia Giulia e uno dei più antichi d’Italia, sia nato in modo un po’ “scompigliato”. Per iniziativa di un gruppetto di illustri indagatori di storia naturale, capitanati da uno svizzero, in osteria. Era il 1846, Trieste era “il” porto dell’Impero austriaco, lo svizzero era Heinrich Koch (primo direttore del museo) e i fondatori e benefattori venivano dai quattro venti: austriaci e ungheresi, italiani e slavi, greci e armeni, svizzeri e inglesi, la biodiversità umana era ricca e variegata tanto quanto quella naturale.
Il museo all’inizio si chiamava Gabinetto Zoologico Zootomico e uno dei suoi fiori all’occhiello era la Wunderkammern, che ancora oggi fa bella mostra di sé nelle prime sale del museo. In questa stanza delle meraviglie venivano raccolte le stranezze naturali che, anche grazie ai floridi traffici marittimi della città, arrivavano abbondanti da tutto il mondo. Lì troviamo ancora ben conservati, tra le mille teche e scaffali, esseri bizzarri come l’Ornitorinco, che sembra frutto di un fantasioso assemblaggio e invece è un vero mammifero, e la leggendaria Chimera, fatta passare per un animale vero e invece frutto di un fantasioso assemblaggio.
Un museo che insegna a cercare le risposte
«Per centocinquant’anni, il museo ha puntato soprattutto a esporre le meraviglie del mondo, per informare e stupire – racconta Nicola Bressi, zoologo entrato in Museo quasi ragazzino, trent’anni fa, e oggi suo curatore – ma negli anni Novanta del secolo scorso c’è stata una svolta. Di fronte all’infodemia dilagante, ha scoperto una nuova missione: far riflettere le persone sul mondo naturale, piuttosto che riempirle di nozioni». Il museo e i suoi abitanti oggi non vogliono (solo) stupirci o indottrinarci, quindi, ma ci insegnano a formulare domande e cercare le risposte. Certo, il museo continua a custodire collezioni di punta: quelle entomologiche (insetti), ornitologiche (uccelli) e malacologiche (conchiglie), per dire, comprendono centinaia di migliaia di esemplari provenienti da tutto il mondo. Ma è anche più vicino al territorio, aiuta a ripristinare la conoscenza e il legame con la natura locale, dalle specie selvatiche diventate urbane alla fauna ipogea che vive nelle grotte calcaree del Carso. E, nel contempo, crea percorsi di consapevolezza naturalistica intorno a reperti unici, che danno lustro al museo su scala internazionale.
Antonio e Carlotta, Leviatani unici al mondo trovati dietro casa
E torniamo così alle nostre mascotte d’eccezione. Antonio, il più grande e completo dinosauro italiano, è stato rinvenuto tutto intero e ben composto al Villaggio del Pescatore, a due passi da Trieste, nell’unico sito a dinosauri del nostro Paese. Apposta per lui, gli scienziati hanno coniato un nuovo genere e una nuova specie: Tethyshadros insularis. Intorno ad Antonio, poi, i paleontologi hanno scoperto un intero ecosistema fossile, popolato da altri dinosauri, tra cui il conspecifico Bruno, pesci e coccodrilli, gamberetti e vegetali.
Carlotta lo squalo bianco (Carcharodon carcharias), invece, è decisamente più giovane e ancora più grossa. L’abbiamo già detto: è il più grande squalo bianco dell’emisfero Nord del mondo. Fu catturata nel 1906 da una nave della Guardia di Finanza Austroungarica poco più a sud di Trieste, nelle acque dell’Adriatico tra la penisola dell’Istria e l’isola di Cherso, oggi in Croazia. Probabilmente mentre andava a prendere del pesce “al supermercato”, in una delle numerose tonnare attive all’epoca nel golfo di Trieste e del Quarnaro.
Il museo è un database concreto della biodiversità
Se la nuova vocazione del Museo è insegnare a riflettere, a porsi domande e andare in cerca delle risposte, le attività divulgative e didattiche si affiancano con slancio a quelle, più classiche, di archiviazione, studio e ricerca. Un’iniziativa che sta avendo molto successo, ad esempio, è “Passeggiando si impara”. Nata durante la pandemia come format di conferenze all’aperto, è piaciuta così tanto che ora si sta ampliando con nuove proposte, in luoghi sempre diversi e rigorosamente open air.
«Potremmo definire il nostro museo una banca dati concreta della biodiversità – spiega Bressi – qui facciamo tutto quello che fa un museo moderno e ci impegniamo molto nella divulgazione e ricerca legata al territorio. La fauna locale sta cambiando a vista d’occhio, tra climate change e specie aliene, e noi studiamo questa evoluzione. Animali che fino a una ventina d’anni fa erano comuni, come i rospi e la passera mattugia, oggi sono rari. Mentre caprioli, volpi e cinghiali sono ormai diventati cittadini onorari. E abbiamo anche un progetto sull’inurbamento del calabrone orientale, che a causa del riscaldamento climatico è arrivato fino in città, adattandosi a mangiare le crocchette di cani e gatti». I progetti in essere e futuri, insomma, sono tanti. Ma “il” progetto, di qui ai prossimi tre o quattro anni, è un nuovo e importante trasloco: dall’attuale sede in via dei Tominz 4 al Magazzino 26 del Porto Vecchio. Un grande spazio con una storia importante e fresco di rinnovo, che si prepara a ospitare allestimenti innovativi e una buona fetta dei quattro milioni di reperti di questo storico Museo.