Nello Speleovivarium, ad accompagnare i visitatori alla scoperta del ricchissimo mondo degli ambienti ipogei con avvincenti aneddoti sulle esplorazioni speleologiche, sono volontari (Foto: Mara Marchesan)

Speleovivarium: il rifugio antiaereo tramutato in grotta carsica

A Trieste, grazie a una sapiente riconversione degli spazi urbani, un gruppo di speleologi ha creato un percorso di scoperta degli ambienti di grotta e degli organismi che li popolano
26 Aprile, 2023
4 minuti di lettura

Un rifugio antiaereo della seconda guerra mondiale trasformato in una grotta carsica nel bel mezzo della città. Non è un prodigio di Proteo, divinità greca famosa per le sue mirabolanti trasformazioni, anche se lo zampino del proteo c’entra eccome. Stiamo parlando dello Speleovivarium, una realtà museale nata a Trieste nel 1990 per studiare, far conoscere e tutelare l’ambiente di grotta e gli organismi cavernicoli. E tra questi spicca appunto il proteo, un anfibio a dir poco bizzarro che vive nelle grotte sotterranee del Carso e deve il suo nome proprio all’omonima divinità greca.

Un laboratorio sugli ambienti e gli animali cavernicoli

Questo Piccolo Museo, unico nel suo genere, fu fondato dallo speleologo Erwin Pichl, che seppe riconoscere in uno dei molti rifugi antiaerei cittadini le condizioni ideali per ricreare un ambiente ipogeo “a due passi da casa”. La galleria si snoda infatti per circa seicento metri sotto marciapiedi e strade, case e piazze, è di facile accesso e presenta un microclima costante nel corso dell’anno, molto simile a quello tipico delle grotte. «Lo Speleovivarium nasce come laboratorio biospeleologico aperto al pubblico», racconta Marco Restaino, presidente della Società Adriatica di Speleologia che gestisce ancora oggi la struttura. «L’idea era proprio quella di portare una grotta in città, per osservare, studiare e proteggere gli animali delle grotte del carso, primo tra tutti il leggendario proteo».

 

Il proteo, un drago in miniatura

Simile a un serpentello biancastro dotato di esili zampette e branchie rubiconde che porta con sé per tutta la vita, privo di occhi ma con un olfatto sviluppatissimo, il proteo (Proteus anguinus) è un anfibio urodelo classificato come Vulnerabile dalle Liste Rosse italiane dell’IUCN, Unione mondiale per la conservazione della natura. Il suo areale è molto circoscritto: conduce vita strettamente acquatica nelle grotte dell’altipiano carsico e delle Alpi Dinariche, tra nord-est dell’Italia, Slovenia, Croazia e Bosnia-Erzegovina. Di particolarità ne ha molte: una di queste è la neotenia, dato che mantiene tratti tipici dello stadio larvale anche dopo aver raggiunto la maturità sessuale. Cosa che, peraltro, si verifica molto tardi: i protei non sono pronti a riprodursi finché non hanno superato i dieci anni di età. Non è colpa del buio comunque, perché anche se non ci vedono ci sentono benissimo: oltre ai chemiocettori con cui “annusano e gustano” l’acqua, sono dotati di meccanocettori ed elettrocettori con cui percepiscono le onde sonore, le vibrazioni e persino i campi elettrici. Tutti “superpoteri” utilissimi non solo per individuare possibili partner, ma anche per trovare le piccole prede di cui si cibano e per sfuggire ai predatori.

 

Il proteo è un anfibio cavernicolo che vive nelle acque sotterranee del Carso, tra cui quelle del fiume Timavo, ed è il simbolo dello Speleovivarium (Foto: Società Adriatica di Speleologia)

Un animale sensibile alle acque inquinate

I protei sono anche molto sensibili all’inquinamento acquatico, e tra gli anni Settanta e Novanta le acque in cui vivevano erano molto inquinate. «Uno dei motivi principali per cui si decise di creare lo Speleovivarium – racconta Edgardo Mauri, maestro specializzato nell’insegnamento agli ipovedenti e storico collaboratore del museo – fu la salvaguardia dei protei dall’inquinamento e il recupero degli esemplari incappati nei sistemi di captazione delle acque. L’idea era di far riprodurre i protei in cattività per poi reintrodurli in ambiente, ma la cosa si è rivelata più complessa del previsto. Oggi però le falde idriche sono meno inquinate, anche grazie al nostro lavoro di sensibilizzazione, e ci sono sempre più osservazioni in natura di protei e altri animali ipogei». Un po’ per questo e perché le ricerche in ambiente naturale sono sempre più sviluppate e all’avanguardia, un po’ perché nella galleria che ospita il museo la temperatura sta aumentando per via del cambiamento climatico, i protei e gli altri abitanti delle grotte sono stati pian piano liberati. Resta però attivo il laboratorio scientifico e didattico dedicato alla fauna ipogea e al proteo, in collaborazione con il Museo di Storia Naturale di Trieste e altri enti e istituti di ricerca italiani ed esteri con il coordinamento di SOS Proteus.

esgardo mauri spiega i laboratori didattici
Edgardo Mauri spiega le caratteristiche del proteo e le attività per la sua conoscenza e tutela, tra cui svolgono un ruolo importante i laboratori didattici (Foto: Mara Marchesan)

Alla scoperta dello straordinario mondo sotterraneo

Lo Speleovivarium, quindi, si trasforma e rinnova adeguandosi ai tempi. Con un nuovo messaggio, che mette ancora più al centro le attività di divulgazione, didattica e sensibilizzazione. Far conoscere gli ambienti e la vita delle grotte e delle acque sotterranee, spiegarne l’importanza per l’equilibrio degli ecosistemi e per noi, aiuta infatti a salvaguardarli. “Da museo che conservava e proteggeva i delicati animali ipogei dall’inquinamento delle falde – spiega Restaino – ci stiamo muovendo verso un concetto di museo che esalta il profondo rapporto tra l’uomo, l’acqua e la conoscenza e tutela a tutto tondo del sottosuolo”. Proprio per questo, in occasione della Giornata Mondiale dell’Acqua (che si celebra il 22 marzo di ogni anno), lo Speleovivarium ha aperto le porte ai visitatori, accompagnandoli alla scoperta dei misteri ipogei. Nelle altre giornate dell’anno, il museo è visitabile su appuntamento e ospita spesso anche gruppi e scolaresche.

 

Un piccolo museo con testimonianze preziose del mondo sotterraneo, dagli animali che vivono nelle acque ipogee ai resti dell’orso delle caverne e fino ai reperti bellici (Foto: Mara Marchesan)

 

Nella prima parte del percorso, fanno capolino dall’oscurità le descrizioni e ricostruzioni di piante e animali che vivono all’imboccatura delle grotte o nelle loro profondità. Continuando ad addentrarsi nell’antro si scoprono le rocce carbonatiche tipiche delle cavità carsiche, il fenomeno del carsismo e le peculiarità delle acque sotterranee. Più avanti ancora, prendono vita dal buio gli abitanti del passato, tra cui l’orso delle caverne e i nostri stessi antenati. Per arrivare infine ai reperti e documenti storici sulle gallerie artificiali, dai rifugi costruiti durante i conflitti mondiali ai cunicoli e sotterranei nascosti sotto le chiese e altri edifici storici. «In più, stiamo allestendo un’area attrezzata per ospitare animali cavernicoli trovati in difficoltà – conclude Restaino – per curarli e riportarli in natura. Sono sempre più frequenti, ad esempio, le segnalazioni di protei che fanno capolino da tombini o altri condotti sotterranei durante le piene delle sorgenti carsiche. Un segnale decisamente positivo, a patto che si riesca a portarli prontamente in salvo per curarli e reintrodurli nel loro ambiente naturale».

 

I reperti bellici conservati nello Speleovivarium (Foto: Mara Marchesan)
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