«Sono venuto in Italia per lanciare una raccolta fondi che partirà a fine mese, e per smentire in modo definitivo la falsa narrativa di mia madre sul massacro dei Rohingya». Kim Aris, figlio minore di Aung San Suu Kyi, lancia un appello (ripreso da varie agenzie e dal quotidiano Avvenire in un’intervista) dall’Italia, dove è ospite dell’Associazione per l’amicizia Italia Birmania: «Chiedo alla comunità internazionale di riconoscere il governo ombra e di supportare chi si batte contro il regime golpista. La situazione è disperata». Il quarantaseienne non vede la madre dal 2021, da quando un colpo di stato ha rovesciato l’allora governo in carica, nel quale San Suu Kyi era Consigliera di Stato. «Avevo promesso a mia madre di non immischiarsi nella politica, ma non posso farla marcire in prigione». Dal febbraio 2021 The Lady, come fu ribattezzata nel film a lei dedicato da Luc Besson, è in carcere dopo una serie di accuse pretestuose e grottesche come quella per l’importazione illegale di walkie-talkie.
Aung San Suu Kyi, creazione e distruzione di un mito
Aung San Suu Kyi aveva già scontato vent’anni di arresti domiciliari: figlia del generale Aung San, ucciso quando lei era piccolissima, e di Khin Kyi, ambasciatrice in India, dopo essersi sposata in Inghilterra, tornò in patria per accudire la madre malata. Qui entrò in politica, diventando uno sei volti simbolo delle proteste contro i regimi militari che si susseguivano nel Paese. Vincitrice di un premio Sakharov e di un Nobel per la pace, rimase agli arresti domiciliari dal 1989 al 2010. Dopo la sua liberazione ottenne un seggio al Parlamento birmano, nel 2012, ricoprendo negli anni successi ruoli importanti, a capo di vari ministeri. Il suo mito è stato scalfito, se non addirittura distrutto, dalle accuse di persecuzione nei confronti del popolo rohingya. Accuse che il figlio smentisce: «La sua stessa presenza all’Aja nel 2019 dimostra l’intenzione di volersi occupare direttamente della questione, non di nasconderla. Voglio ricordare che mia madre ha dovuto lavorare con i militari, perché questo prevedeva la Costituzione della Birmania, ma non ha mai lavorato per i militari».
Il Myanmar oggi
«Chiedo alla comunità internazionale di aiutarmi a pretendere più sanzioni, contro i militari, in particolare per la benzina dei caccia, con cui bombardano il Paese. Ma anche un maggior controllo sugli aiuti che si danno al Paese – aggiunge Kim Aris – Metà della popolazione vive in povertà estrema: 2 milioni di birmani hanno dovuto lasciare la propria casa, e 20 milioni di persone necessitano di assistenza umanitaria». Il governo ombra, spiega Aris, ha accesso alle aree più colpite, sarebbe quindi in grado di aiutare se fosse a sua volta aiutato dalle agenzie internazionali. La situazione nell’ex Birmania, oggi Myanmar, è di fatto disperata. Dopo il clamore mediatico sulla figura di Aung San Suu Kyi, dagli anni 90 in poi volto “glamour” che piaceva a popstar e stilisti, del paese asiatico e della sua leader, diventata scomoda e controversa, non si parla più. Nel frattempo le condizioni di chi vive in Myanmar, rohingya compresi, peggiorano di giorno in giorno. E Aris ricorda che basterebbe destinare il 2% degli aiuti dati all’Ucraina alle forze di resistenza per cambiare la situazione.