Ho una certa età, lavoro con i bambini da diversi decenni, ben addentro nel passato millennio! Da sempre, giocando con il corpo e lo spazio del teatro, raccontando e scrivendo e illustrando storie, scoprendo la natura, sperimentando e a volte inventando i linguaggi audiovisivi, usiamo tutta la tecnologia con cui si può giocare. Tecnologia che già allora era interessante, ma che poi negli anni è diventata strepitosa, se la si gioca come sanno fare i bambini, ovviamente. Se no, attenzione, perché può farci davvero male! Loro rispondono sempre con lo stesso entusiasmo, non sono cambiati i bambini. Nonostante tutte le narrazioni superficiali e confuse con cui li abbiamo perfino descritti come l’avanguardia “digitale” mutante di un mondo inconoscibile cui tutti dovremo prima o poi adeguarci, ma da cui ossessivamente ci affanniamo a proteggerli. Mettiamoci un po’ d’accordo!
Permeati di cultura audiovisiva
Avevo incominciato nel 1980 in una scuola elementare con un videoregistratore a bobine e addirittura un sintetizzatore Moog (che cose si trovano a volte nelle scuole!). E ancora oggi giochiamo, allo stesso modo, con le videocamere, i computer, i telefonini, senza bisogno di corsi o lezioni preliminari. Semplicemente prendiamo gli aggeggi e li usiamo, richiamando alla mente con un po’ d’attenzione – lo possono fare anche i maestri e i professori, non ci vuole poi molto – tutta la cultura audiovisiva latente che abbiamo interiorizzato conoscendo il mondo attraverso la televisione. Che era ed è, la televisione, la madre mai conosciuta davvero, mai studiata, mai compresa in modo attivo e consapevole, di una esperienza principalmente virtuale del mondo comune da tanto tempo a tutte le generazioni, indipendentemente dalla piattaforma su cui la si guarda: la serie di successo, il videoclip, il reality, il balletto su TikTok.
Non fissiamo l’attenzione sull’aggeggio, per favore, ma su come lo usiamo, e su quello che succede nella nostra testa!
Le mie esperienze nelle scuole – ultimamente un po’ più rade, ma sempre efficaci, anche quando ho ripreso dopo anni l’animazione teatrale classica, e mamma mia quanto funzionano! – consistono in attività tutto sommato abbastanza impegnative. Sempre portano alla realizzazione di “prodotti finali”, per lo più audiovisivi, realizzati in gran parte dai bambini stessi.
Il punto di vista dei più piccoli
In questi prodotti audiovisivi, non solo “documentiamo”, ma cerchiamo di comunicare al mondo quello che i più piccoli sanno fare, e anche magari quello che pensano. Che in realtà pochissimi sanno. La riuscita non dipende dall’argomento più o meno intrigante, dall’ambiente in cui siamo, dai mezzi che si usano. La riuscita dipende solo dal fatto di lavorare, giocare, agire insieme: ognuno porta quella che sa e che può, senza competizione e anzi si scopre la gioia di fare collaborando davvero. I bambini si sentono considerati, non valutati artificiosamente in base a parametri esterni e (a parte che spesso si avvicinano e spontaneamente ringraziano) facilmente tirano fuori da se stessi idee ed energie, e la capacità di sviluppare discorsi, conoscenze e abilità in modo naturale, correggendosi reciprocamente:
e l’adulto non insegna ma coordina ed è garante delle regole comuni.
Quasi mai in queste attività – con risultati di alto livello espressivo, artistico, linguistico, scientifico – si verificano episodi di bullismo, né si riscontra “deficit d’attenzione”. Ricordo quella volta che, rientrando dopo due anni in una classe con cui avevo lavorato per due ore, prima di chiedere ai ragazzi che cosa si ricordavano accesi il registratore… Sembrava di esserci lasciati il giorno prima!
La potenza dei nuovi strumenti espressivi
Perché è così difficile condividere per esempio con gli insegnanti questo tipo di esperienze, e capire insieme perché certe cose funzionano e altre no? L’idea, il progetto collettivo – prima ovviamente in rete, ma appena possibile confrontandoci anche in presenza – è di raccogliere e sistemare cose, o di collegarsi a cose che già ci sono: produzioni audio e video (e multimediali) soprattutto, in cui bambini con la loro presenza, anche solo con le loro voci, il loro sguardo sul mondo attraverso l’obiettivo, ci comunicano un punto di vista libero, sincero e spesso originale, con testimonianze di sé in prima persona non oggettive o assolute ovviamente, ma vere, vissute. Lo fanno utilizzando strumenti potenti e facili che prima non avevamo. Allora dovevamo interpretare le cose solo da testi e disegni che andavano persi negli armadi, dalle relazioni degli insegnanti o degli psicologi, mentre nell’opinione pubblica imperversavano i luoghi comuni. Oggi, già da un po’, possiamo guardare insieme quello che è successo quasi per davvero. Non solo sulla base di questionari e statistiche, o racconti in cui non emergono emozioni, motivazioni, e vissuti: ciò che, insomma, umanamente ci permette di capirle.
Un invito a condividere le buone pratiche
Tante volte si sente parlare di una scuola sommersa dalle difficoltà e molti docenti ed educatori faticano a riconoscere, e a far conoscere, i momenti belli e gratificanti che pure vivono. Serve trovare un modo diretto ed efficace per raccontare le buone pratiche. Serve soprattutto liberare la voce e il punto di vista dei bambini, magari mettendo insieme tante testimonianze di tanti bambini, da tante parti del mondo. E facilmente sarà un grande messaggio di speranza e pace. Senza pretendere di inventare nulla, crediamo che anche solo aggiungere qualcosa sia comunque un bene, in tempi in cui le forze e le intelligenze vanno usate, moltiplicate.
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