Chissà cosa avrebbe detto Maurits Cornelis Escher della computer grafica e della virtual reality. Lui che quasi settant’anni fa, piegando lo spazio, sfidando la percezione e le leggi prospettiche aveva già inciso ipermondi, geometrie impossibili e aberrazioni compositive al limite. Chissà se, curioso e irrimediabilmente affascinato dalla tecnica, si sarebbe lasciato tentato o sarebbe rimasto fedele all’artigianalità della sua arte, visto che ebbe a dire nel 1953, al culmine della sua carriera di incisore: «Se una persona usa la grafica come mezzo espressivo fin dalla giovinezza; alla fine questa tecnica diventa la sua seconda natura. Ma l’obiettivo che sta perseguendo è qualcosa di diverso da una stampa perfettamente eseguita. Il suo scopo è raffigurare sogni, idee o problemi in modo tale che altre persone possano osservarli e rifletterci sopra».
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Soggiorno romano
Il centenario del suo arrivo a Roma, nel 1923, è oggi l’occasione per la ricchissima mostra Arthemisia curata da Federico Giudiceandrea e Mark Veldhuysen, ospitata a Palazzo Bonaparte a Roma fino al 1° aprile 2024, la più grande monografica a lui mai dedicata: 300 opere che spaziano dalle prime xilografie agli ultimi lavori sulle geometrie impossibili per festeggiare nel migliore dei modi il suo soggiorno romano nell’appartamento immortalato nell’Autoritratto allo specchio, che è anche il manifesto della mostra, dove visse con la moglie e i due figli fino al 1935 quando, tornato il figlio vestito da balilla, decise di lasciare l’Italia ormai fascista.
Viaggi in Italia
Le mostre dedicate a Escher non sono certo in Italia una rarità: amato in tutto il mondo, l’artista olandese è stato particolarmente celebrato nel nostro Paese a conferma del rapporto assolutamente speciale tra il grandissimo incisore e l’Italia tutta, «posto benedetto di incontri sorprendenti e inattesi che il mio cuore non potrebbe assorbire con maggior gratitudine, né il mio animo con maggior sensibilità». Già dal 1922, visitò l’Italia in lungo e in largo, privilegiando i paesaggi boscosi e aspri del Sud o le cupole moresche della Costiera amalfitana e di Atrani, il paesino dove incontrò l’amata moglie e che raffigurò in decine di opere celeberrime come le Metamorfosi.
Ritratti e postazioni interattive
Otto le sezioni tra xilografie, xilografie di testa, litografie, linoleografie e mezzetinte, dislocate in due piani del sontuoso palazzo che fu della famiglia Bonaparte, in un percorso cronologico ben illustrato e ben illuminato, arricchito da filmati e postazioni interattive dove grandi e piccini – numerosissime le scolaresche in visita – possono diventare protagonisti del Vincolo d’unione, perdersi nella sala immersiva di superfici riflettenti, luci e proiezioni presentata a Roma in anteprima mondiale o immedesimarsi nei panni dell’artista, seduto nello studio olandese di Baarn perfettamente ricostruito, tra gli strumenti di incisione e l’armadio costellato di foto e immagini amate: ritratti di famiglia, acquerelli, Einstein e Anna Frank.
Tra Nolan, Dürer e Piranesi
Le opere famose ci sono tutte: Buccia, Relatività, Salire e scendere, e, naturalmente, molte versioni e singoli lavori dedicati alle Metamorfosi. Sarà dunque un viaggio molto affascinante nell’iperbolicità visiva e nell’intuizione matematica di questo schivo disegnatore quello che si offre a chi si avvicina a Escher per la prima volta. Seguire il suo percorso d’artista è levitare pian piano verso mondi sempre più multidimensionali, degni dell’immaginario del Nolan di Inception, in una vertigine percettiva che raccoglie eredità lontane. Nei suoi studi sul concavo e il convesso c’è tutto l’anamorfismo della scuola pittorica fiamminga e di Dürer; negli esempi di vuoto e pieno risuona il Leonardo delle prime deformazioni prospettiche e dei sigilli; nella ricerca sulla tridimensionalità prospettica e la geometria post euclidea ecco il richiamo inevitabile a Piranesi, ma anche le opere ispirare al nastro di Möbius, cui sono dedicate la quinta e sesta sezione della mostra, Struttura dello spazio e Paradossi geometrici.
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Fiori, insetti e paesaggi impossibili…
Per chi è già conoscitore e ammiratore dell’opera di Escher, proprio le sezioni iniziali sono particolarmente interessanti, a partire dai primissimi lavori, ispirati all’Art Nouveau per via di Samuel Jessurun de Mesquita (1868 – 1944), esponente del movimento olandese, insegnante di Escher alla Scuola di Architettura e Arti Decorative di Haarlem e colui che, a dispetto di un percorso scolastico tutt’altro che esemplare, lo incoraggiò a diventare un grafico. Di questi anni vediamo in mostra stampe in cui le raffigurazioni realistiche di fiori, insetti e paesaggi italiani e la meticolosa osservazione della natura si fondono già con vedute che spaziano verso orizzonti lontani, quasi anticipando i paradossi prospettici e le illusioni ottiche della maturità.
Il mito pop Escher, dai Simpson ai Rolling Stones
Sono dunque in Italia i semi del suo genio visivo. E la sezione dedicata al soggiorno italiano presenta, tra le creazioni che gli ha ispirato la città eterna, la serie di dodici xilografie del 1934 Roma notturna, realizzata a partire dagli schizzi abbozzati di notte, quando i dettagli architettonici si fanno più evidenti, dopo essersi appostato per le strade deserte con una torcia e un cavalletto da viaggio. Lasciata l’Italia, «il biondo pittore olandese che beve il sole con gli occhi», come lo descrisse l’Osservatore romano in occasione dell’ultima mostra, visiterà di nuovo in Spagna e sarà ancora il viaggio a determinare una svolta nella sua carriera: le elaborate decorazioni geometriche in stile moresco dell’Alhambra lo spingono a interessarsi alle tassellature, ovvero i modi di suddividere il piano con una o più figure geometriche ripetute all’infinito senza sovrapposizioni. Con i 17 diversi tipi di simmetrie possibili, Escher costituì un catalogo di 137 acquarelli da usare come motivi per le nuove opere.
Il resto è storia. Anzi, mito. Con l’ultima sezione dedicata all’Eschermania dove troviamo citazioni che vanno dai Simpson a Paperino, da Suspiria a Squid Games, senza dimenticare la richiesta di Mick Jagger per la copertina di Let it bleed. Il mondo stava virando verso la psichedelia e Escher, ancora una volta, era il maestro a cui ispirarsi.
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