«Le piante sono gli unici esseri viventi che possono sopravvivere senza fare del male a nessuno», dice Yeong-hye, la protagonista de La vegetariana. E le motivazioni con le quali l’Accademia di Svezia ha assegnato il Nobel per la Letteratura a Han Kang, autrice del romanzo, colgono l’essenza della frase, e dell’intera produzione di Kang; «per la sua intensa prosa poetica che mette a confronto i traumi storici con la fragilità della vita umana». Dunque il prestigioso riconoscimento, che le sarà consegnato il 10 dicembre a Stoccolma, va per la prima volta a una scrittrice sudcoreana, per giunta giovane (non ha ancora compiuto 54 anni) e probabilmente poco conosciuta al grande pubblico, nonostante proprio La vegetariana, con cui ha vinto nel 2016 il Man Booker International Prize ( il libro è pubblicato in Italia da Adelphi, ndr), sia diventato a suo tempo un vero e proprio caso editoriale, seppure di nicchia.
Violenza e scelte conseguenti
Kang, che nasce poetessa, con La vegetariana racconta un percorso di rifiuto, fuga, chiusura e, infine, paradossalmente, salvezza, che porta la protagonista Yeong-hye a diventare vegetariana, poi vegana, poi digiunante e infine, probabilmente o almeno così è l’aspirazione, vegetale. Una scelta che parte da un sogno («Ho fatto un sogno», è l’unica spiegazione che dà a chi le chieda perché), un incubo fatto di freddo, di un bosco notturno, carcasse animali e sangue infinito. Metafora non solo del massacro di Gwangju, sul quale la Kang ha scritto un altro romanzo, Atti Umani, pubblicato sempre da Adelphi nel 2017, ma della violenza in generale, come qualcosa di sempre e ovunque presente nell’animo umano, seppure in forme subdole e sottili. L’incubo e la conseguente scelta sono atti di consapevolezza e resistenza, gli unici con cui la protagonista, vessata prima da un padre violento e poi da un marito meschino e mediocre, cerca di sradicare quella mostruosa brutalità.
Ribellioni femminili
Yeong-hye nel suo percorso di ribellione atipica, silenziosa, mite, arriva a smettere di introdurre nel suo corpo qualsiasi cosa che non sia luce e acqua, in una società che non tollera difformità da una presunta norma, soprattutto da parte di una donna. «Non era né triste né assente, come ci si sarebbe potuti aspettare da una malata. Ma non era nemmeno allegra o spensierata. Era il tono calmo di una persona che non appartiene a nessun luogo, di qualcuno che è entrato in una zona di frontiera tra diversi stati dell’essere». Il corpo come rinuncia a qualsiasi luogo, terra di frontiera, per scelta, per ribellione, come unica salvezza: una salvezza che ricompone un legame puro, quasi ai limiti dell’ascetismo, con la Natura, fatto, appunto di luce e acqua e nulla più. La vegetariana è forse il romanzo più d’impatto della Kang, ma non vanno dimenticate le altre opere. Oltre al sopra citato Atti Umani, citiamo Convalescenza, che riprende le figure femminili e le tematiche di dissoluzione, o meglio di evoluzione; in piante, in vegetali, nello stesso dolente e dolce “cupio dissolvi” della protagonista de La Vegetariana.