All’ottavo giorno di devastazione i morti confermati sono 25, gli sfollati 180mila e migliaia gli edifici distrutti. Tra questi, come ormai tutti sanno, le ville e i villini di vip, attrici e attori di Hollywood, celebrità più o meno recenti. Quel che resta di Los Angeles non è ancora chiaro, è ancora in divenire, o meglio in dissolvere, e questo proprio nei giorni in cui usciva l’ultimo rapporto Copernicus che ha decretato il 2024 come l’anno più caldo di sempre.
Il precedente di Chicago
Si studierà nei libri di storia, presumibilmente, come il “Great Chicago Fire”, una delle più grandi catastrofi della storia americana, l’incendio devastante che nel 1871 ridusse in macerie la città dell’Illinois, con centinaia di vittime. Dopo quell’incendio venne avviata una ricostruzione rapida, avveniristica, implacabile che fece di Chicago la metropoli che tutti conosciamo. Non sappiamo quanto e come, in questi tempi oscuri, la stessa sorte attenda la Città degli Angeli. Ricostruirla sarà difficilissimo, anche per la sua struttura e conformazione urbanistica.
Chi salverà la middle class?
E non si tratta, qui, di piangere o compatire le ville delle star, le macchine di lusso, le piscine. La maggior parte delle case distrutte appartiene a persone della middle class: chi penserà a loro, dopo che, come sappiamo, molte compagnie assicurative, ormai da anni sono scappate proprio dal mercato immobiliare californiano a causa degli incendi, sempre più frequenti? Che fine faranno quelle migliaia di persone, senza un nome celebre, senza una statuetta degli Oscar instagrammabile tra le macerie? Quanti di loro andranno a riempire le file degli homeless che ormai da oltre un decennio popolano in maggioranza le strade di downtown, il centro cittadino che dietro edifici imponenti e grattacieli, nasconde orde di diseredati costretti al vagabondaggio e alla vita di strada, senza strutture di protezione, assicurazioni mediche o assistenza?
Paranoie complottiste
A pochi giorni dal secondo insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, il Tycoon negazionista non ha perso tempo per insultare, urlando a lettere cubitali come suo solito e attaccando le autorità californiane, dato che lo Stato negli ultimi anni è divenuto un bastione dem (non lo è sempre stato, si pensi a Ronald Reagan). Elon Musk, nel frattempo, lancia su X fantomatiche ipotesi di complotto contro gli Usa. Lo scenario, purtroppo, non è opera della fantasia ucronica del grande Philip Roth, autore del meraviglioso, ahinoi profetico romanzo omonimo, The Plot Against America, ma è la realtà. È ciò che si appresta a rimanere del grande sogno americano, trasformato in incubo paranoico da decenni di disinformazione, fake news, negazionismo, miserie umane.
Come in Don’t Look Up
Il disastro umanitario di Los Angeles è il disastro americano e mondiale che viviamo tutte e tutti e che ci ostiniamo a negare. Come in Don’t Look Up, la scienza che da anni avverte è stata sbeffeggiata, ignorata. Perché se è vero che gli incendi ci sono sempre stati (quale ovvietà, suvvia) è ben più vero che la gravità di questo incendio come delle numerose avvisaglie di incendi che si sono susseguiti in California (ma anche in Canada, ad esempio), è indubbiamente correlata ai cambiamenti climatici.
Venti dal deserto
I venti forti e caldi di Santa Ana, che arrivano dal deserto e si spingono verso il Pacifico, hanno da sempre trovato una barriera protettiva nelle piogge che, un tempo, permettevano al terreno di essere preparato. Ma negli ultimi anni, e negli scorsi mesi in particolare, la California (il Sud dello Stato in particolare) ha vissuto intensi periodi di siccità, come non ne aveva mai vissuti: oltre otto mesi nell’ultimo anno, senza piogge degne di questo nome. Il terreno brullo e la vegetazione secca hanno fatto da carburante, attraverso il vento, diffondendo il fuoco in un batter di ciglia. Cosa che, d’altra parte, non era vaticinata solo dagli scienziati gufi: se lo sapevano anche gli assicuratori, che di fatti si sono ben guardati dallo stipulare contratti di salvaguardia sugli immobili californiani, beh, forse la questione era alla portata di tutte e tutti. No?
Negazionismo al potere
C’è una cosa che salta agli occhi, oltre al fuoco, in questi giorni. Il prossimo capo del Department of Government Efficiency, nominato fresco fresco da Trump, è proprio Elon Musk. Il “genio” decarbonizzatore, inventore e promotore della Tesla, è anche un fervente negazionista climatico. E proprio in questi giorni, dopo la vittoria di Trump, sono arrivati gli annunci dei vari Zuckerberg, Blackrock, Goldman Sachs, JP Morgan: abbandonano chi il “fact checking”, chi le politiche di sostenibilità (leggi: green washing) e di inclusività aziendale. Be quick or be dead, non si sa mai dovessero disturbare e perdere il nuovo volano trumpiano, sapientemente occupato dal marziano sudafricano. Quando è iniziato tutto questo? Quand’è che la tanto esaltata tecnica, tecnologia, la genialità della Silicon Valley e dei suoi giovani inventori in t-shirt e pantaloncini, si è distaccata dalla scienza, dalle evidenze scientifiche? Com’è possibile che tecnologia e scienza si trovino, ora, su fronti opposti?
Disastro distopico
Mentre bruciano quartieri e strade iconiche, da Sunset Boulevard a West Hollywood, le suggestioni cinematografiche losangeline sono tante, perché da sempre la capitale del cinema è capitale distopica: da Blade Runner a Strange Days, da Heat a Mulholland Drive a Fuga da Los Angeles (e praticamente molto altro Carpenter). Droni, macchine, robot che uccidono e non salvano, anzi, talvolta, come pare sia accaduto in questi giorni, interferiscono con le operazioni di soccorso.
Padroni delle macchine e padroni del mondo
Qualche giorno fa Massimo Cacciari, in un articolo su La Stampa, parlava del dominio della tecnica sulla politica, dal quale la sinistra si è lasciata sedurre, in tutto il mondo, almeno dagli anni ’80. Se i padroni della macchina, divenuta ormai intelligente oltre che essenziale, diventano i padroni del mondo, è inutile, oltre che patetico, scrive il filosofo, stupirsi del percorso e dell’affermazione (politica) di un Musk.
Come siamo arrivati fin qui
Siamo arrivati qui e non ce ne siamo voluti accorgere, e solo la politica forse è ancora in tempo per creare nuovi scenari, ridistribuire le ricchezze, ripensare le nostre città, rendendole realmente sostenibili.
Nel frattempo, a Los Angeles, il Viale del Tramonto è in fiamme.