C’è chi ha raccontato di aver subito sequestri, di essersi trovato vicino alla morte, di aver visto qualcuno morire. Altri hanno dichiarato di essere stati costretti ai lavori forzati, di aver vissuto in condizioni di schiavitù per mesi o per anni. A fare luce sulle azioni disumane che si compiono quotidianamente in Libia e nei centri di detenzione è il rapporto “La fabbrica della tortura” realizzato da “Medici per i diritti umani” (Medu), che ha raccolto tramite i propri operatori le testimonianze dirette di migranti e rifugiati – oltre tremila – nel periodo che va dal 2014 al 2020.
I dati dicono che l’85% delle persone ha subito torture, violenze e trattamenti inumani e degradanti proprio in Libia. E le ferite del corpo si uniscono a quelle della mente: l’80% presenta disturbi psichici. In particolare disturbi da stress post traumatico, depressione, somatizzazioni legate al trauma, disturbi d’ansia e del sonno.
Lo scenario descritto dal documento è chiaro: il territorio libico è ormai un grande sistema di sfruttamento di uomini, donne e bambini. In cui la tortura è diventata fonte di reddito per la Libia. Violando in questo modo i diritti umani. E allora coma agire?
«Chiediamo che l’Unione europea e la comunità internazionale si adoperino per la chiusura immediata di tutti i centri di detenzione ufficiali e l’evacuazione, sotto l’egida delle Nazioni Unite, dei migranti e rifugiati li detenuti verso paesi sicuri – ha dichiarato Medu – Rivolgiamo inoltre un appello all’Italia, all’Unione europea e alla comunità internazionale affinché vengano adottate tutte le possibili iniziative volte alla liberazione delle decine di migliaia migranti e rifugiati rinchiusi nei luoghi informali di detenzione e sequestro».