Nelle aree dove resistono sistemi di agricoltura non intensiva e senza uso di chimica, si registra una minore diffusione del virus. È quanto sostiene uno studio condotto dalla Scuola di Agraria dell’Università di Firenze in collaborazione con la segreteria scientifica dell’Osservatorio Nazionale del Paesaggio Rurale.
Lo studio mette in relazione il numero di casi di coronavirus registrati sul territorio nazionale e i modelli di agricoltura presenti nelle varie zone del paese, evidenziando una maggiore incidenza del virus in quelle zone agricole periurbane e ad agricoltura intensiva, in particolare nelle aree della Pianura Padana, del fronte adriatico dell’Emilia Romagna, della valle dell’Arno tra Firenze e Pisa e nelle zone intorno a Roma e Napoli. Sono aree dove si registra un più alto livello di meccanizzazione, impiego della chimica e agroindustria e maggiori interrelazioni con urbanizzazione e inquinamento.
Secondo uno studio del Cultlab della Scuola di Agraria dell’@UNI_FIRENZE, nelle aree ad #agricoltura non intensiva la diffusione del #coronavirus è minore: 32 casi ogni 100 Km quadrati contro i 47 della media del Territorio nazionale.#ANSATerraGusto https://t.co/W4c0prtK6E
— Ansa Terra e Gusto (@Ansa_TerraGusto) April 15, 2020
Pianura Padana e agricoltura intensiva
Lo studio ha confrontato quattro modelli di agricoltura: quella urbana e periurbana, le aree ad agricoltura intensiva (come la Pianura Padana), le aree con agricoltura a media intensità energetica (dove si praticano sistemi tradizionali) e le aree con agricoltura a bassa intensità energetica (tipicamente nelle zone di montagna del centro-nord, nella collina rurale meridionale e in alcune aree di pianura del sud e delle isole).
Considerato il dato medio nazionale della diffusione del Coronavirus, pari a 47 casi ogni 100 kmq, nelle aree ad agricoltura intensiva l’intensità del contagio sale a 94 casi ogni 100 kmq, mentre nelle aree ad agricoltura non intensiva il dato scende a 32 casi ogni 100 kmq.
Il caso della Pianura Padana è particolarmente esemplificativo: qui si concentra il 61% delle aree ad agricoltura intensiva di tutto il Paese e fa registrare il 70% dei casi COVID-19 in Italia. Ma con una distribuzione differente a seconda dei modelli agricoli praticati: nelle aree della Pianura Padana ad agricoltura intensiva si registrano 138 casi ogni 100 kmq, mentre in quelle ad agricoltura non intensiva la media scende a 90 casi.
Le aree a media e bassa intensità energetica, dove sono concentrate il 68% delle superfici protette italiane, risultano invece meno colpite dal Covid-19.
Queste aree sono distribuite soprattutto nelle zone medio collinari, montane alpine ed appenniniche, caratterizzate – scrive lo studio – da risorse paesaggistiche, naturalistiche ma anche culturali, storiche e produzioni tipiche legate a criteri qualitativi più che quantitativi.
Modello rurale esempio per il post Covid-19
«Il modello di agricoltura a media e bassa intensità riflette uno stile di vita diverso rispetto a quello delle zone ad alta intensità energetica», dichiara il professor Mauro Agnoletti, coordinatore del progetto e responsabile scientifico del programma della FAO per la tutela dei Paesaggi agricoli di rilevanza mondiale (GIAHS). «Quest’ultimo tipo di organizzazione produttiva, economica e sociale potrebbe rappresentare un modello di sviluppo da cui ripartire una volta passata l’emergenza».
«Nello studio – conclude Agnoletti – ci siamo occupati di indagare la relazione tra i casi di Coronavirus rispetto ad un tema poco esplorato. Eppure l’agricoltura è considerata un servizio essenziale particolarmente in questo momento di crisi. È quindi importante capire il rapporto fra i modelli di agricoltura e la diffusione del virus in vista della Fase 2 e per la ricostruzione della società post-pandemia».