All’inizio di aprile sembrava soltanto uno dei tanti annunci illiberali di Viktor Orbán. Invece il 19 maggio, in Ungheria, è arrivata la legge che vieta il riconoscimento giuridico del genere alle persone transgender e intersessuali. Il parlamento ungherese ha approvato la tesi che «è impossibile cambiare completamente il proprio sesso biologico» e per questo «è necessario stabilire per legge che non può essere modificato neanche nel registro civile». Pertanto tutti i riferimenti al genere ora si baseranno sul sesso assegnato alla nascita nel registro nazionale e sui documenti di identità. Il provvedimento è un duro colpo alle democrazie liberali perché è in contrasto con quello che ha stabilito lo scorso anno l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms): la categorizzazione del “disturbo dell’identità di genere”, infatti, è stata eliminata dall’elenco delle malattie. Inoltre viola il diritto europeo e non è stato accolto positivamente dagli ungheresi: il 70 per cento ha dichiarato in un sondaggio condotto da Median nel 2019 che le persone trans dovrebbero avere accesso al riconoscimento legale del genere.
«Il parlamento dovrebbe concentrarsi su come il popolo ungherese potrà sopravvivere alla pandemia di COVID-19, e non usare questa crisi come copertura per negare i diritti di un gruppo già emarginato − ha detto Masen Davis, direttore esecutivo ad interim presso Transgender Europe (Tgeu) − Questo pericoloso disegno di legge sottoporrà le persone trans in Ungheria a un maggiore controllo, a discriminazioni e violenze».
E ora le associazioni Lgbti temono le ripercussioni su chi ha compiuto il processo di tansizione medica. Contro la legge, e la Sezione 33 in particolare, si è schierata anche Amnesty International che ha lanciato la campagna social #Drop 33.
«Questo voto spinge l’Ungheria indietro verso tempi bui e sopprime i diritti delle persone transgender e intersessuali, che dovranno subire non solo ulteriori discriminazioni ma anche le conseguenze di un clima ancora più intollerante e ostile verso la comunità Lgbti − ha dichiarato Krisztina Tamás-Sáróy, ricercatrice di Amnesty – Chiediamo al Commissario per i diritti fondamentali dell’Ungheria di sollecitare urgentemente una revisione da parte della Corte costituzionale che porti all’annullamento di questa terribile nuova norma».