Addio a Christo, l’artista della plastica. Il provocatorio maestro della land-art, famoso per le sue creazioni monumentali che ha concepito per mezzo secolo insieme alla consorte, Jeanne-Claude, mancata nel 2009. Una “firma” inconfondibile, la sua (ma bisognerebbe dire la loro), nella memoria collettiva grazie ai famosi impacchettamenti di edifici, beni culturali, interi ponti, persino isolotti come quelli che aveva circondato di polipropilene fucsia nella baia di Miami, all’inizio degli anni Ottanta. Negando la bellezza e anche la natura le celebrava, denunciando a modo suo la pervasività del materiale sintetico ma utilizzandolo, allo stesso tempo, secondo un’estetica quasi riabilitatoria, certamente capace di far riflettere.
In Italia si era discusso molto, quattro anni fa, dell’ultima opera che aveva realizzato nel nostro paese, vale a dire la serie di pontili galleggianti denominata “The Floating Piers” che permetteva letteralmente di passeggiare sulle acque del lago d’Iseo e che aveva richiamato, in due settimane, un milione e mezzo di visitatori. Quindici giorni, appunto, di fruizione per un’installazione estremamente complessa, anche sotto il profilo ambientale, costata 18 milioni di dollari interamente investiti, peraltro, dal suo creatore. Amato e odiato, Christo aveva certamente la capacità di attrarre i media e di pensare l’arte come un effimero elemento di aggregazione.
Si è spento nella serata di ieri, per cause naturali, a 84 anni nella sua casa a New York, come hanno annunciato i suoi collaboratori dalla pagina Facebook:
«Christo ha vissuto la sua vita pienamente, non solo immaginando ciò che sembrava impossibile, ma realizzandolo. Il lavoro di Christo e Jeanne-Claude ha riunito persone in esperienze condivise in tutto il mondo e il loro lavoro è perpetuato nei nostri cuori e ricordi».
Originario della Bulgaria, ma naturalizzato statunitense, Christo aveva incontrato sua moglie (nata peraltro lo stesso giorno, il 13 giugno 1935) a Parigi nel 1958 formando un sodalizio artisticamente dirompente. La loro attività comune risale ai primi anni Sessanta, prima impacchettando oggetti e modelli umani, poi trasferendo la propria vena creativa nello spazio pubblico, per esempio quando alzano una parete di barili d’olio combustibile, nel 1962, nella centralissima rue Visconti di Parigi per protestare contro il muro di Berlino.
Sono note le peripezie burocratiche che la coppia doveva affrontare per realizzare i proprio progetti: 26 anni di trattativa con l’amministrazione di New York per realizzare “The Gates”, vale a dire un lungo percorso color zafferano in Central park con 7503 porte in vinile alte quasi cinque metri. Il percorso autorizzativo per impacchettare il Reichstag, la loro opera certamente più famosa, visitata da cinque milioni di persone, invece era iniziato nel 1971 e l’inaugurazione era arrivata nel 1995, dunque dopo il fatidico ’89 che aveva visto la riunificazione delle due Germanie. Un momento particolarmente significativo per lui, che aveva lasciato il suo paese da dissidente.
Eppure c’è ancora una sua opera che manca all’appello e che potremo vedere, il prossimo anno, di nuovo a Parigi, quasi nel segno di una resurrezione artistica: il packaging dell’Arco di Trionfo, al quale stava ancora lavorando, la cui inaugurazione era prevista per questo settembre ma che la Covid aveva obbligato a rinviare. Il progetto, fanno sapere dal suo staff, è ancora in pista e il taglio del nastro è confermato per il 18 settembre 2021.