Non solo nelle strade, l’odio razziale si diffonde ogni giorno tramite le principali piattaforme social. E per questo motivo dopo le manifestazioni in tutto il mondo in seguito alla morte di George Floyd, importanti multinazionali stanno boicottando la pubblicità su Facebook, Youtube, Twitter, Instagram. I messaggi razzisti non piacciono a Unilever, Patagonia, North Face, Verizon e a Coca Cola, il cui Ceo, James Quincy, ha dichiarato in una nota:
«Non c’è spazio per il razzismo nel mondo e non c’è spazio per il razzismo sui social media». E ha annunciato la sospensione delle inserzioni pubblicitarie in tutto il mondo nel mese di luglio.
Le grandi aziende chiedendo ai social maggiore affidabilità e più trasparenza. E tutte hanno aderito alla campagna “Stop Hate for Profit”, che sta crescendo − si sono uniti circa 150 inserzionisti, secondo l’associazione non governativa Color of Chanege − e sta rivelando un punto debole della comunicazione sul web: la difficoltà a proteggere le minoranze culturali. Una vulnerabilità che ha delle importanti ripercussioni sociali ed economiche. E che unisce consumatori e big company.
«Noi siamo contro i contenuti d’odio e crediamo che il mondo delle imprese e quello della politica debbano unirsi per realizzare un vero cambiamento», ha dichiarato Starbucks.
Fino ad ora a pagare il prezzo più alto del boicottaggio globale è stato Mark Zuckerberg: le azioni di Facebook sono diminuite infatti dell’ 8,3% venerdì. Le perdite sono di 7,2 miliardi di dollari. Ma la cifra potrebbe aumentare. Per comprendere la dimensione del danno, basterebbe pensare che solo la Unilever ogni anno investe 42,4 milioni di dollari in pubblicità. Mentre Verizon proprio su Facebook, nelle prime tre settimane di giugno, ha investito 850 milioni di dollari per l’Advertising . Per non trovarsi definitivamente all’angolo, il Ceo del social network più utilizzato al mondo dovrà però trovare il coraggio di prendere decisioni nette contro i post controversi, a partire da quelli pubblicati da Donald Trump. Non possiamo escludere, infatti, che la mancata rimozione dei messaggi del presidente degli Usa sul web contro le manifestazioni antirazziste abbia contribuito alla rapida crescita del movimento “Stop Hate for Profit”.