Milano ha donato alcune donne straordinarie al movimento ambientalista. Una si chiamava Giulia Maria Crespi e se n’è andata proprio ieri all’età di 97 anni. Meravigliosa combattente in campo culturale, fu capace di tenere in riga a suo tempo figure come Giovanni Spadolini e Indro Montanelli che allontanò dal “Corriere della Sera”, eravamo nei primi anni Settanta, per orientare la testata in tutt’altra direzione.
Su quel giornale, di cui aveva ereditato le redini dal padre, facoltoso industriale cotoniero appartenente alla famiglia dei primi finanziatori, grazie al suo coraggio da editrice avrebbero così trovato spazio figure come Antonio Cederna e Alfredo Todisco con la loro narrazione sulla tutela del beni culturali, l’impatto sulla salute dei siti industriali, i limiti della crescita esplicitati nel frattempo dal celebre rapporto del Mit per il Club di Roma. Tutti temi, insomma, che per la prima volta si affacciavano sulla grande stampa nazionale. O come Pier Paolo Pasolini che vi pubblicò, fra gli altri, il famoso editoriale dedicato alla scomparsa delle lucciole.
A Giulia Maria Crespi si legano molte visioni e prese di posizione pionieristiche. È stata fra le prime, almeno in Italia, a puntare sull’agricoltura biodinamica aprendo nel 1974 le Cascine Orsine: un’azienda di eccellenza a Bereguardo, nel Pavese, rigorosamente ispirata al metodo colturale coniato da Rudolf Steiner che oggi si appresta ad essere riconosciuto nella nuova legge sul biologico bloccata, si spera ancora per poco, in Senato. Proprio a questo luogo si lega però il dolore, nel maggio scorso, per la perdita di uno dei suoi due figli, Aldo Paravicini, anche lui agricoltore innovativo e appassionato, che aveva preso in gestione le Cascine e che è scomparso a causa di un incidente stradale mentre rientrava nella struttura.
C’è da credere che questa tragedia abbia inciso non poco nel suo stato d’animo che ha portato all’epilogo di una lunga, operosa vita al servizio di valori elevati, anche sotto il profilo etico.
Un’intuizione che condivise con Elena Croce, scrittrice e fondatrice di Italia Nostra, fu quella di creare nel 1975 il Fondo Ambiente Italiano, al fianco di Renato Bazzoni: un modello d’impresa culturale inedito per il nostro paese, ispirato al National Trust del Regno Unito, che si basa sul principio di sussidiarietà per acquisire attraverso delle donazioni, restaurare e preservare monumenti, aree naturali, dimore e quant’altro di cui lo Stato non riesca a farsi carico. Una realtà che oggi coinvolge settemila volontari e che permette al Fondo di gestire 61 fra ville, castelli, abbazie ma anche boschi e tratti di costa che sarebbero andati evidentemente incontro a ben altro destino.
Fu cruciale per le sue scelte l’esperienza della malattia che affrontò una prima volta nel 1968, un tumore al seno. Dopo l’intervento chirurgico con Umberto Veronesi decise di rinunciare alla chemioterapia e di rivolgersi alla Lukas Klinik di Basilea, centrata sulla medicina antroposofica che prevede un’alimentazione consapevole, capace di riconnettere la persona con i cicli naturali. Erano gli anni in cui circolava anche in Italia “Primavera silenziosa” di Rachel Carson che aveva lanciato dagli Stati Uniti l’allarme contro l’utilizzo dei pesticidi in agricoltura. La Crespi cominciò allora, sulla scorta di quella vicissitudine personale, la sua battaglia contro l’utilizzo dei prodotti chimici nel settore agroalimentare, quando ancora la “rivoluzione verde” era in pieno svolgimento e la coltivazione organica sembrava un’utopia al pari delle fonti rinnovabili, della mobilità in condivisione, di un’economia amica del clima. Una battaglia, fra le molte, controcorrente che avrebbe proseguito anche come presidente onorario dell’Associazione per l’agricoltura biodinamica.
Milano vista con gli occhi di Giulia Maria Crespi. Guarda l’intervista su Memomi
In gioventù era chiamata la “zarina”, a conferma di un carattere certamente non facile, ribelle e volitivo. Nel movimento ambientalista, forse a causa della sua estrazione sociale, è sempre stata percepita come una figura a parte ma è anche vero che non ha mai assunto atteggiamenti da vip, semmai ha fatto pesare la sua influenza a tutela del bene comune.
Ha sofferto (rimase precocemente vedova di Marco Paravicini, poi sposò nel 1965 l’architetto Guglielmo Mozzoni), lottato, si è fatta amare e qualche volta odiare. Ha visto realizzarsi molte sue visioni, molte sue sfide le ha vinte.
Le altre restano in eredità a chi segue.