“Capire il passato per vivere felici”. I Ladakh e la globalizzazione in un documentario
Sul canale YouTube di CG Entertainment è disponibile dal 6 luglio il documentario di Eric Walton tratto dal bestseller del ’91 di Helena Norberg-Hodge. Un lavoro utile per conoscere il Ladakh, territorio indiano ai confini con l'Himalaya, in modo più approfondito. Ma l'eccesso ideologico rischia di deviare la narrazione verso conclusioni semplicistiche
Il confine che intercorre tra l’invocare la decrescita, nell’ottica di un’economia più umanizzata e rapporti sostenibili tra uomo e natura, e la recessione, che auspica una riduzione del Pil attraverso la rinuncia ai consumi è una zona sdrucciola e vischiosa. Helena Norberg-Hodge, antropologa svedese, ci si muove ancora in maniera agile, pur rischiando a tratti di cadere nella banalità annichilente del “si stava meglio quando si stava peggio”. Nel documentario del 1993, Capire il passato per vivere felici diretto da Eric Walton e tratto dal suo bestseller Ancient Futures: Learning From Ladakh (del 1991) – ora disponibile gratuitamente sul canale youtube di CG Entertainment, in occasione di una rassegna dedicata ai film sull’ambiente – si ha spesso l’impressione che la decisione di prendere la popolazione del Ladakh (noto anche come Piccolo Tibet), regione fino agli anni Settanta remotissima dell’altopiano tibetano, a esempio di quanto la globalizzazione impedisca all’uomo di essere quello che sarebbe per natura, ossia felice, sia poco più di una mossa furba per dimostrare l’infallibilità della propria tesi.
Guarda il documentario “Capire il passato per vivere felici”
In viaggio su una ruota di pietra o su uno shuttle?
La visione dell’Occidente, sporco e cattivo, che attraverso il suo asfalto porta il suo diesel inquinante che fa viaggiare i suoi orrendi modelli culturali, fa ricordare con malinconia i viaggi dell’Enterprise, alle prese con civiltà lontane da cui allontanarsi velocemente per non modificare il “naturale” percorso del proprio progresso. Viene il dubbio, ora, che anche il capitano Kirk si sia reso conto ogni volta che, anche nel pianeta più sperduto dell’universo, l’uomo a girare a cavalcioni di una ruota di pietra è molto più allegro che a bordo di uno shuttle. Boutade a parte, il lavoro di Helena Norberg-Hodge, insignita nel 1986 del Right to Livelihood Award (il premio annuale creato nel 1980 da Jakob von Uexkull, con lo scopo di affiancare al Premio Nobel un riconoscimento agli sforzi compiuti da persone e gruppi, in particolare del Sud del mondo, per una società migliore e un’economia più giusta), ha avuto il merito di far conoscere in maniera meno superficiale gli abitanti del Ladakh.
Il Ladakh, ieri e oggi
Il Ladakh, che fa parte politicamente dell’India, è stato a lungo isolato dal mondo esterno: la prima strada asfaltata ha attraversato i suoi confini nel 1962, attraversata solo dai mezzi dell’esercito indiano. Ai primi turisti, arrivati soltanto nel 1975, si era svelato una sorta di eden, fatto di benessere sociale per tutti ed equilibrio tra uomo e natura: «Quando sono arrivata per la prima volta a Leh, la capitale contava 5 mila abitanti, le mucche erano la causa più probabile di traffico e l’aria era cristallina – racconta Norberg-Hodge – A cinque minuti a piedi in qualsiasi direzione dal centro del paese c’erano campi d’orzo, punteggiati da grandi case coloniche. Vent’anni dopo ho visto Leh trasformarsi in un agglomerato urbano; le strade sono diventate soffocate dal traffico e l’aria sapeva di gasolio». Nel giro di pochissimo tempo, insomma, sono comparsi poveri, senzatetto, disoccupati e le diverse etnie, che fino ad allora avevano vissuto fianco a fianco in armonia, hanno iniziato a scontrarsi. Da qui, la decisione dell’attivista di creare The Ladakh Project per cercare di evitare che la loro millenaria cultura venisse stravolta dalla globalizzazione.
Proteggersi dalla globalizzazione. Ma anche da una visione semplicistica
Progetto più che meritevole per cui, appunto ha ricevuto il Nobel alternativo. Cosa scricchiola nell’impianto ideologico di Helena Norberg-Hodge? Il portare avanti la tesi che essendo in Ladakh tutto interconnesso, tutti si prendono cura della natura, dei parenti degli animali, degli amici. Questo faceva sì che tutti in Ladakh, prima dell’arrivo della globalizzazione occidentale fossero felici perché l’uomo vive felice quando riesce a instaurare rapporti equilibrati con l’ambiente circostante e con la propria comunità. Come a dire che prima della Rivoluzione Industriale, gli europei erano di certo tutti felici, senza tener conto – al di là dell’indole personale – del ruolo occupato nella società di appartenenza.
Possiamo vivere in un’altra maniera? Di certo e sarebbe auspicabile. Ma pretendere che un consumo consapevole sia la strada verso lo shangri-la rischia di apparire disarmante nella sua semplificazione.
Saperenetwork è...
Francesca Romana Buffetti
Antropologa sedotta dal giornalismo, dirige dal 2015 la rivista “Scenografia&Costume”. Giornalista freelance, scrive di cinema, teatro, arte, moda, ambiente. Ha svolto lavoro redazionale in società di comunicazione per diversi anni, occupandosi soprattutto di spettacolo e cultura, dopo aver studiato a lungo, anche recandosi sui set, storia e tecniche del cinema.
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