Tempi bui si sono abbattuti sull’Europa in questi giorni. All’improvviso, il vecchio secolo sembra tornare con forza, con le sue divisioni e la sua violenza. Petra Kelly (1947-1992), tra le fondatrici dei Verdi tedeschi, alle radici della cultura ecopacifista internazionale, ha vissuto proprio il vecchio secolo e nel vecchio secolo si è opposta ad ogni forma di violenza, fautrice di una delle forme di politica più innovative che la storia recente abbia conosciuto.
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Nel ’91, mentre si concludeva la prima Guerra del Golfo, ricordava in un suo discorso come i Verdi tedeschi fossero un partito nonviolento: essi supportavano infatti il principio etico per cui un’ingiustizia non deve essere ripagata con un’ingiustizia, se possibile anche maggiore, non c’è giustificazione alla violenza militare (il testo è all’interno del volume “Nonviolence Speaks to Power”, Centre for Global Nonviolence, Hawaii, 1992).
Bisognava piuttosto, erano le sue parole, «introdurre un po’ del Discorso della Montagna e di civiltà nella politica di Bonn».
Guarda l’intervista di Trevor Hyett nel 1982 a Petra Kelly sul disarmo nucleare (in inglese)
Ecologismo e femminismo, in lei, comprendono la lotta per la pace globale ed il disarmo, per una giustizia globale che implica anche una limitazione dello sfruttamento delle risorse e la cessazione dello sfruttamento dei lavoratori e più in generale delle popolazioni povere. E ancora, la tutela dei diritti umani (sia le donne, sia le minoranze etniche), la cura dei bambini e dei più deboli, la protezione dell’ambiente e del pianeta, Infine, nella sua visione, emergeva un’idea di politica distante dai partiti, centrata sull’esercizio dal basso del potere, nel segno del pensiero di Václav Havel, il poeta e drammaturgo che partecipò alla “rivoluzione di velluto” nella sua Cecoslovacchia, diventando il primo presidente, nel ’93, della Repubblica Ceca.
Petra parlava, appunto, di «ecopace»: una pace a 360 gradi, perché tutte le forme di violenza (contro l’ambiente e contro il prossimo) sono collegate. E non possiamo girarci dall’altra parte, altrimenti si è complici. Scriveva nel 1988 nella prefazione al volume “Healing the Wounds” (Green Print) della scrittrice e attivista canadese Judith Plants:
«La nostra chiamata all’azione, la nostra chiamata per una trasformazione nonviolenta della società è basata sulla convinzione che la lotta per il disarmo, la pace, la giustizia sociale, la protezione del pianeta Terra e la realizzazione dei bisogni umani basilari e dei diritti umani sono una cosa sola, indivisibile».
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Ma come si combatte la violenza? Come si lotta per l’ecopace? Appunto, con la nonviolenza, era la sua ferma convinzione. La neutralità è uno strumento per una politica di pace attiva.
«La strada per la pace è la pace!»
aveva detto durante il congresso dell’88 a Nuova Delhi “Towards a Nuclear-Weapon-Free and Non-Violent World” (il testo è reperibile sempre nel volume “Nonviolence Speaks to Power”).
E quanto suonano attuali, nelle ore che stiamo attraversando, le parole che pronunciò quando le fu conferito l’Alternative Nobel Prize, il 9 dicembre 1982:
«Quando un numero sufficiente di persone (…) comincia a capire la stretta relazione tra la corsa agli armamenti e la violenza internazionale, la preservazione dei legami economici, l’ingiustizia sociale e l’instabilità ecologica, allora siamo sulla strada per fare le giuste richieste a beneficio dell’umanità, piuttosto che di una nazione, di una particolare classe».
Per approfondire
Valentina Cavanna, “Petra Kelly. Ripensare l’ecopacifismo”,
Interno4 Edizioni,
Rimini, 2017, ISBN9788885747012