Immaginare il futuro è un passo indispensabile per cominciare a costruirlo. In inglese, il processo da seguire viene chiamato backcasting, anche per distinguerlo dal forecasting, da quei processi cioè che vengono usati per le previsioni del tempo, per le previsioni finanziarie e ora, in tempi di coronavirus, per tentare previsioni sull’andamento dell’epidemia.
[Coronavirus e diffusione] Nuovo aggiornamento sui trend della pandemia di Covid-19. I focus di questa settimana riguardano il numero di persone decedute nelle regioni italiane, il numero di ricoverati in terapia intensiva e altro.
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Elaborare previsioni, partendo dai dati
Ma cosa si fa quando si elaborano previsioni? Si raccolgono i dati che ci sembrano importanti – a volte senza sapere se ce ne siano altri altrettanto importanti che non sono mai stati presi in considerazione – e partendo dai dati si cerca d’immaginare quello che succederà, sulla base di quello che sappiamo essere successo in passato in condizioni simili.
Con la consapevolezza che l’intreccio di molti dati e molti fattori, la complessità e l’incertezza delle correlazioni, permetteranno di dare solo indicazioni di massima e valutazioni del rischio.
Nel tempo che verrà. Ripartendo dal passato
Nel backcasting il punto di partenza è l’opposto: il futuro è l’orizzonte che vogliamo raggiungere, l’utopia a cui vogliamo approdare, per riuscire ad individuare, tornando indietro nel tempo e nella catena di relazioni, i punti di partenza e i passi da fare per costruirlo. Nel backcasting è la visione complessiva che guida l’agire, che norma – attraverso i valori che la ispirano – le proposte da fare e le alternative possibili, che tiene conto della quantità ma cerca la qualità, che riconosce come semplificare non serve e che sono le emergenze, gli eventi non previsti, le situazioni strane, i campanelli d’allarme che permetteranno di aggiustare il percorso e al tempo stesso di rendere sempre più chiara la meta.
La crisi come punto di svolta
Nella situazione attuale, in cui una pandemia, inaspettata e imprevedibile, ha messo in crisi le certezze, la vita quotidiana, il come e il quando si lavora o si fa scuola, la crisi può costituire veramente un punto di svolta, un’occasione per riflettere su quanto si dava per scontato, sull’immagine di scuola e di educazione alla quale ancora implicitamente ci riferiamo, per costruirne una nuova, più efficace e inclusiva.
Adattarsi al futuro o cambiarlo?
Possiamo cominciare col riconoscere che la nostra scuola, e la nostra Università – quando funzionano bene – preparano al più ad adattarsi, a inserirsi in un futuro che si considera già preordinato, semplice estensione temporale del presente, con pochi cambiamenti e scarse possibilità d’influire su di essi. In questa visione, lo studio del passato, le conoscenze accumulate da chi ci ha preceduto, costituiscono un bagaglio molto oneroso ma essenziale per guidare i comportamenti futuri. In questa immagine di vite future, quello che viene considerato più importante è la quantità di conoscenze, e non la capacità di utilizzarle o di metterle in discussione.
Non solo conoscenze
Non ci si chiede quali siano i concetti veramente essenziali – la struttura che connette, come dice Gregory Bateson – e soprattutto quale futuro i nostri studenti vorrebbero costruire e quali sono, di conseguenza le competenze, e non solo le conoscenze, necessarie per realizzarlo. La scuola, e anche l’università, si fermano spesso al forecasting, al seguire strade già battute, a ripetere percorsi di ricerca e di vita già schematizzati e non sviluppano quelle competenze che possono aiutare a costruire futuri diversi.
La competenza di decidere nell’incertezza
Competenze di attenzione a quello che succede nel mondo e di visione sistemica e transdisciplinare dei legami, dei vincoli, delle relazioni; competenze di empatia con gli altri esseri umani e con il Pianeta nel suo insieme; competenze di collaborazione e partecipazione e non solo di competizione, competenze di azione consapevole e orientata al futuro, e anche competenze come quella, oggi essenziale, di prendere decisioni in condizioni d’incertezza.
Sapendo che non decidere è anch’essa una decisione, e che il percorso per raggiungere il futuro che vogliamo deve aver pronte le sue varianti per far fronte all’imprevedibile: per ogni piano A, bisogna aver pronto un piano B, un piano C…