Foto: Minerva Studio, Canva

Dalla Società dell’Informazione a quella della Comunicazione?

Le nuove tecnologie ci hanno consegnato la produzione dell’informazione, ma per usarle in modo consapevole sarebbe servito un salto culturale inattuabile in pochi anni. Eppure da oggetto di consumo e fine del nostro narcisistico lifestyle possiamo riportarle al ruolo di strumenti di condivisione, per una comunicazione orizzontale e autentica  
17 Settembre, 2024
3 minuti di lettura

L’ho scritto qui più volte e lo ripeto. Lavoro soprattutto con i bambini e imparo da loro, l’unico gruppo di umani che, nel mondo raccontato e non vissuto di oggi, quando si permette loro di essere gruppo, riesce con naturalezza a liberarsi dagli stereotipi, dai “sentito dire”, dalle idee fisse che cementano improbabili identità singole e collettive in un narcisismo devastante e divisivo che sta ammazzando le società, dove gli slogan delle parti si sostituiscono a ogni possibile ragionamento comune, la tristezza integralista del “politicamente corretto” esclude il confronto tra le differenze, e le idee, il pensiero, le discussioni sono sempre più lontani dalla vita e dalle emozioni della persone vere. I bambini, se semplicemente li osservi e presti loro attenzione, con il gioco ti dimostrano in un attimo che un mondo diverso è possibile.

Bambini attraverso i continenti, le lingue, le culture, perfino la tecnologia, tecnologia che non è assolutamente vero – come credono i più – che determina dall’alto i nostri comportamenti, anzi!

Nel mio recente libro americano, partendo dal personale disagio di molti di fronte a un insieme di contraddizioni non risolte, ho cercato di sviluppare un discorso che vada oltre la citazione dei singoli problemi, per lo più affrontati come se osservassimo dall’esterno un sistema che funziona indipendentemente dal nostro intervento. Alla fine ne è venuta fuori un’immagine suggestiva, una possibilità intrigante, che mi piace qui riproporre, in sintesi estrema.

La tecnologia ci ha trovato impreparati

C’era una volta un mondo in cui la maggioranza degli abitanti, con il diffondersi della scuola di massa, aveva appena imparato a leggere e a scrivere. In pochi decenni è stato globalizzato nella cosiddetta società dell’informazione, in cui i grandi editori, i network televisivi, i telegiornali, i telefilm, l’intrattenimento, i reality show, la TV spazzatura, hanno spostato la conoscenza e i pensieri delle persone dalla realtà vissuta a quella virtuale, che qualcun altro ci racconta: comodo, facile, per un pianeta in cui si crescono ora non cittadini attivi e responsabili, ma zelanti consumatori.

 

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Quando tecnologie assolutamente nuove, il personal computer, la Rete, i telefoni cellulari intelligenti, hanno messo per la prima volta nella storia letteralmente nelle mani di tutti la produzione e diffusione dell’informazione, per usarli in modo consapevole serviva un salto culturale importante: dal centralismo alla condivisione, dalla competizione alla collaborazione, dall’individualismo alla cooperazione. Una colossale opera di educazione che in un pianeta intero non si può risolvere in pochi anni, e nemmeno probabilmente in una generazione. Molto più comodo e redditizio, dato anche che per certe funzioni elementari gli aggeggi e i servizi digitali sono davvero facili da usare, venderli direttamente come semplici oggetti di consumo all’umanità globale ammaestrata dalla TV, affidando tutto al mercato. Con qualche abbozzo di interattività, qualche spazio in rete gentilmente concesso per le foto, i video, gli scritti degli utenti, gli si racconta che vivono in un continuo, vorticoso, inarrestabile “progresso”, e meno la massa capisce davvero che cosa ha in mano, più chi riesce a piazzarsi nel posto giusto fa affari milionari, in una realtà filtrata dalle leggi ineludibili di un commercio globale e totale in cui anche le interazioni tra le persone sono scandite dalla pubblicità!

E il racconto di un universo centralizzato, verticale, manipolato da oscure e inarrivabili élite, dominato dallo paura dell’apocalisse incombente, a cui riescono a opporsi solo pochi supereroi, ci accompagna immutato dalla fine della II guerra mondiale (alla faccia del mondo che cambia!)

Tecnologia e vita vera

Tuttavia, spezzare il cerchio magico è relativamente facile. Basta distogliere sguardo e pensiero dalla narrazione stereotipata del mondo che ci arriva attraverso i media, di massa e personali, e rivolgerli alla vita vera, le persone, gli ambienti umani, la natura. Possiamo eventualmente utilizzare la tecnologia stessa per osservare, documentare, raccontare noi la realtà, superando la semplice pubblicazione sui social network, dove gran parte delle immagini e delle parole si confondono nel rumore commerciale dominante, e porre maggiore attenzione alle effettive interazioni tra le persone, al dialogo, allo scambio autentico di idee, esperienze, emozioni. Cioè, si pubblica anche (non qualsiasi cosa, ma quello a cui si dà un valore), e ci si preoccupa di verificare se gli altri rispondono oppure no, eventualmente si aggiusta il tiro, si cercano altre modalità, strumenti, piattaforme, non adattandosi sempre per forza a quel che passa il convento, se lo scopo non è ottenere oziosi “mi piace” o affermarsi in una ininterrotta competizione fittizia con gli altri, ma produrre qualcosa insieme, con soddisfazione comune.

La tecnologia torna ad essere un attrezzo a disposizione, non il riferimento principale, perché anche quando è potente come l’intelligenza artificiale, sempre dipende dai nostri progetti e intenzioni.

Come succede nelle comunità di bambini, in cui il gruppo dei compagni è naturalmente centrale rispetto alle attività e ai giochi, e come succede anche quando un gruppo di adulti si aggrega con interessi e obiettivi definiti e forti. Nel momento in cui l’uso della tecnologia che tutti teniamo in mano incomincia a non essere più una sorta di riflesso condizionato, ma un atto consapevole di selezione, organizzazione, utilizzo di strumenti e canali che, condividendo contenuti, ci avvicina alla altre persone e ci aiuta a stare e a lavorare meglio con loro, già più non partecipiamo a un rito collettivo di consumo, ma pian piano forse cominciamo a passare dalla società dell’informazione, centralizzata, verticale, che ingloba e fagocita i singoli, verso quella della comunicazione, decentrata quando occorre, orizzontale, che consente a ognuno di esprimersi e svilupparsi e di evolvere insieme, eventualmente modificando in modo democratico, attivo, consapevole, sempre maggiori porzioni del mondo in cui viviamo.

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