Henri Cartier-Bresson diceva: «Ogni volta che premo il pulsante dello scatto, è come conservare ciò che sta per sparire». Anguillara, la porta del borgo, l’arco di piazza antica. I contadini, un bambino, un asinello. Estate, a giudicare dall’abbigliamento. Il bianco e nero esalta il passato.
E lo conserva, lo protegge, lo salva. Lo immortala.
Henri Cartier-Bresson spiegava: «Fotografare è trattenere il respiro». Anguillara, il lungolago. Anguillara, dal lungolago. Anguillara di notte. Fotografare è trattenere anche il battito delle ciglia, i battiti del cuore, i battiti dell’orologio.
Fotografare è trattenere un’immagine, un ritratto, un panorama, un paesaggio, una scena, un attimo, una due tre quattro cinque mucche.
Henri Cartier-Bresson sosteneva: «Più di tutto io cerco un silenzio interiore». Anguillara con la neve. La neve, ad Anguillara, una rarità. E la neve è silenzio e non solo candore, è intima, spirituale, delicata, pietosa.
I giardini del torrione si nascondono, si coprono, si trasformano.
Henri Cartier-Bresson confessava: «Noi fotografi abbiamo sempre a che fare con cose che svaniscono, e quando sono svanite non c’è espediente che possa farle ritornare». Anguillara, la piazza del Comune. Ieri e oggi. In bianco e nero e a colori. Angolazioni, dettagli, stagioni diverse. Non esiste, non può esistere una foto uguale a un’altra.
Ciascuna foto ha infinite variabili.
Contrasto, l’agenzia, ad Anguillara. Queste foto appartengono a Contrasto, ma anche ad Anguillara, e in questi giorni anche al Cammino dei vulcani. Testimoniano il paese, la sua storia, la sua geografia. Raccontano, descrivono, rimangono.
Quella fotografica è una macchina del tempo.