Bambini in provincia di Guantanamo, Cuba, durante la Cruzada Teatral del 2007 (Foto: Paolo Beneventi)
Bambini in provincia di Guantanamo, Cuba, durante la Cruzada Teatral del 2007 (Foto: Paolo Beneventi)

I “nativi digitali” e i bambini cubani

Esistono i nativi digitali? I più piccoli sono così portati per le nuove tecnologie perché sono nati con lo smartphone in mano? Un esperimento con dei bambini dell'Avana che non avevano mai avuto un telefonino, dimostra che l'esposizione ai mezzi c'entra ben poco...
7 Maggio, 2021
3 minuti di lettura

Tra le favole del tempo moderno, è piaciuta ed ha “acchiappato” molto l’opinione pubblica quella dei nativi digitali. Nel link all’articolo ci sono spunti di riflessione, ma in sintesi si può citare uno che di digitale se ne intende, Marco Montemagno, non un suo scritto, ma un incontro in presenza con ragazzi delle scuole superiori, a cui a chi scrive capitò di assistere.

Li guardò in faccia e disse, divertito: «I nativi digitali… non esistono!». 

Sono molti decenni che faccio attività con i bambini e i ragazzi: animazione teatrale, video, produzioni multimediali vere – negli anni 90, poi ci ho rinunciato, forse  troppo avanti sui tempi, le capivano solo i bambini, e con l’andazzo attuale rischiamo di non vederle più! – e poi incontri con la natura “assistiti” dalla tecnologia, e tanto “inventastorie”, alla Rodari, alla Munari, alla “bambino” (meglio non usare in italiano la parola “storytelling”, che suona un po’ come “jobs act”, “spending review”, “recovery fund”, cioè una probabile fregatura!).

 

Due bambini giocano con un cellulare
I bambini delle ultime generazioni iniziano a usare cellulari e tecnologia da quando sono molto piccoli. Ma ha senso parlare ancora di “nativi digitali”?

La rivoluzione del tubo catodico

Lavorando con i bambini veri e cercando di ragionarci sopra , sono arrivato alla provvisoria conclusione che, tra le diverse tecnologie che hanno radicalmente cambiato la vita degli umani, come il fuoco, la ruota, la stampa, la luce elettrica, il cinema, la radio, l’automobile, gli aggeggi digitali, quella che probabilmente nella storia umana ha indotto il “salto mentale” più significativo è stata la televisione.

Perché ha spostato il grosso dell’esperienza e conoscenza che le persone hanno del mondo – ovunque, nel giro di pochi decenni, in tutto il pianeta – dal reale vissuto al virtuale guardato.

La cultura dei libri ha sempre coinvolto tutto sommato una minoranza degli abitanti della terra, e quella “digitale” ancora non si sa davvero che cosa sia ed è stata comunque finora condizionata in modo determinante dalla formazione televisiva dei primi umani che ci hanno avuto a che fare.

 

Due bambini davanti a uno schermo televisivo
Il vecchio tubo catodico può apparire ormai sorpassato, soprattutto per le giovani generazioni. Eppure è forse il mezzo tecnologico che più ha influito sulla vita delle persone

La conoscenza da creare insieme

Cresciuti in una cultura statica e passiva, tendiamo anche a caricare di significati esagerati osservazioni empiriche che non sappiamo collocare in un contesto, come quando scambiamo certi giochi di bambini per competenza tecnologica. Non so, per esempio, come il mio nipotino a 3 anni fosse capace di trovare da solo sul telefonino tutti quei video con le sirene di polizia e pompieri, anche cinesi e russi.

So però che crescendo ha incominciato a chiedere agli adulti come me di digitare per le sue ricerche in rete, per esempio: “strade spaventose”.

Perché, come il più delle volte accade, avendo esplorato nel loro gioco di conoscenza – in qualsiasi loro gioco, non solo quelli “digitali” – vie molteplici e sorprendenti, i bambini a un certo punto le abbandonano quasi tutte, adeguandosi a pochi modelli adulti. E forse in un’epoca in cui facciamo fatica a capire come la conoscenza ormai più che trasmettersi si possa e si debba creare insieme, proprio il recupero e l’applicazione consapevole di modalità conoscitive “bambine” potrebbero offrire soluzioni al generale senso di smarrimento culturale di molti.

 

 

Oltre l’esperienza e gli stereotipi: i bambini dell’Avana

Con i bambini del quartiere la Timba, all’Avana, mi capitò di condurre due laboratori di video e computer, nel 2007 e 2009. Non avevano mai tenuto in mano un telefonino – altro che competenze per “esposizione ai mezzi”! – ma capivano e facevano più in fretta dei nostri. Penso che fosse perché avevano comunque una cultura televisiva di base – non importa quanto la guardano, se su un 55” 4K o un televisorino in bianco e nero, in centinaia di canali via satellite o nel web, o nella TV di stato cubana: i bambini colgono la sostanza delle “storie” televisive e poi immaginano oltre, se gli viene lasciata la possibilità di giocare – e non avevano la testa piena di pubblicità e stereotipi consumistici, che ammazzano l’immaginazione.

Da YouTube riprendo due video antichi, sgranati come si potevano pubblicare anni fa e anche un po’ bui: stavamo usando un videoproiettore nella stanza e quindi c’era poca luce, e a suo tempo non li avevo corretti più di tanto prima di pubblicarli.

Dalla prima esperienza, la sintesi in un minuto su “come si fa un video”, dalla seconda una documentazione al volo su come con il computer si cambiano le facce.        

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