Esiste un concetto di moda che, come il magico uroboro, si rigenera di continuo e tutto rimette in circolo, in un cerchio infinito di prodotti e materiali. Non è la più stramba delle utopie ma una realtà che, seppur a fatica, sta cominciando a prendere piede in Italia e nel mondo, in linea con i diktat dell’economia circolare. Esiste anche chi, di questo concetto di circolarità e rigenerazione, ha fatto uno dei suoi punti di forza da ben prima che il termine “moda circolare” diventasse non solo di moda, ma venisse addirittura coniato. Si tratta del Lanificio Paoletti, una storica manifattura tessile che, con i suoi quasi 230 anni di attività, è una delle più antiche d’Italia in questo settore. Fondata nel 1795 da Gaspare Paoletti, quest’azienda a conduzione familiare si trova a Follina, un piccolo borgo del trevigiano dove si narra che l’arte della lavorazione della lana sia giunta con i monaci cistercensi poco dopo l’anno mille.
Filiera certificata
Il Lanificio Paoletti produce tessuti in lana cardata di alta qualità per stilisti, designer e creativi di tutto il mondo, da Saint Laurent a Isabel Marant, da Armani a Etro e fino a Lanvin e Vivienne Westwood, ma mantiene nelle sue fibre l’alone avvolgente e rassicurante del saper fare artigianale. Quello di chi, con la cura e la passione del vero “made in Italy”, ha fatto e continua a fare la storia del nostro Paese. Con un’attenzione particolare per la sostenibilità, non solo economica e sociale ma anche ambientale. «Dopo un percorso rigoroso, alcuni mesi fa abbiamo conseguito due importanti certificazioni internazionali: Global Recycle Standard e Responsible Wool Standard», racconta con un pizzico di orgoglio Paolo Paoletti, decima generazione della famiglia e titolare con il padre e il fratello del Lanificio Paoletti.
«Certificare e rendere trasparente tutta la filiera di lavorazione dei nostri prodotti, i materiali di cui sono fatti e i processi con cui vengono trattati – continua Paoletti – ci consente di garantire un prodotto di basso impatto ambientale, animale e sociale».
Se la prima certificazione si focalizza soprattutto sui processi produttivi, la seconda guarda in particolare alla provenienza della materia prima. Il Responsible Wool Standard assicura infatti che la lana provenga da allevamenti condotti in modo responsabile e rispettoso, secondo i principi del benessere animale. E garantisce la tracciabilità della materia prima nell’intero percorso di produzione. Di aneddoti sull’approccio ante litteram alla moda sostenibile e circolare, il Lanificio Paoletti ne ha davvero tanti. Ma la storia più bella, che non ci stanchiamo mai di farci raccontare, è quella delle pecore dell’Alpago che, avvolte intorno a modelle dalle mille fisionomie e colori, hanno solcato e continuano a solcare i catwalk di tutto il mondo.
Dalla pecora Alpagota a Vivienne Westwood
«La stilista inglese Vivienne Westwood, leggendaria quanto eccentrica figura della moda internazionale, musa del punk e paladina dell’ambientalismo – racconta Paoletti – ha scelto una lana davvero anticonvenzionale per le sue creazioni. Quella delle pecore Alpagote, che pascolano nei nostri altipiani da millenni, ma rischiavano di scomparire. Noi recuperiamo la lana grezza ottenuta da queste pecore e la cardiamo, filiamo e tessiamo dando vita a un tessuto unico e speciale». Per cogliere appieno quanto anticonvenzionale, unico e speciale sia questo prodotto dobbiamo ripercorrere la storia di un progetto: quello di valorizzazione della Lana Alpago. Sostenuto da fondi europei e promosso dalla Comunità Montana dell’Alpago, il progetto è portato avanti da più di dieci anni dalla Cooperativa Fardjma, che riunisce gli allevatori e i piccoli produttori locali e ha per protagonista proprio lei: la pecora Alpagota.
Questa razza ovina particolarmente rustica, adattata alla perfezione alle difficili terre dolomitiche in cui vive da lunghissimo tempo, era a rischio di estinzione a causa del declino degli allevamenti tradizionali in ambiente naturale. Con gravi ripercussioni anche per l’habitat e la biodiversità delle praterie alpine, che il pascolo degli ovini contribuiva a mantenere in equilibrio. Uno dei tasselli virtuosi del progetto coinvolge appunto il Lanificio Paoletti. Che, grazie all’esperienza e all’ingegno, è riuscito a recuperare la lana di queste rustiche pecore locali per creare tessuti innovativi e sostenibili. Recuperare, sì. Perché questa lana, pur essendo soffice, calda e compatta, prima del salvifico intervento dei Paoletti veniva smaltita come rifiuto speciale.
Manifesto eco-sostenibile
Trasformare gli scarti in risorsa, favorire la filiera corta (solo poche decine di chilometri separano l’area di origine dei materiali grezzi dal sito manifatturiero) e ridurre l’uso di sostanze chimiche durante i processi di lavorazione e tintura. È questo il manifesto eco-sostenibile del Lanificio, tradotto in realtà nella pratica di produzione quotidiana. E nel caso della lana Alpagota fa persino un passo in più: la tintura, che è uno dei processi potenzialmente più inquinanti nell’industria tessile, non viene neppure fatta. Spiega Paoletti:
«Per questa pregiata lana naturale abbiamo scelto di non utilizzare tinture e mantenere le nuance tipiche della pecora Alpagota, che ha un vello di tonalità più scura sul muso e sulle zampe e più chiara nel resto del corpo. Il mélange è arricchito dalla lana della classica pecora nera, presente in ogni gregge e che dona particolari sfumature al filato».
Dalla pecora nera del gregge alla pecora nera della moda il passo è stato breve. E tutto grazie al trait d’union di un filo di lana che fa il verso all’uroboro, sapientemente cardato e filato da un Lanificio con un tocco inconfondibile e speciale.