Oramai, in maniera più o meno corretta, molti di noi conoscono il significato della parola biodiversità. Esiste però un altro termine simile, altrettanto importante e connesso alla biosfera: si tratta della geodiversità, la varietà delle caratteristiche geologiche, geomorfologiche, pedologiche (legate cioè al suolo) e idrologiche che incontriamo sul nostro Pianeta. In una delle sessioni della European Geosciences Union General Assembly, tenutasi dal 19 al 30 aprile 2021, è stato presentato uno studio di un gruppo di ricercatori della University of Amsterdam, in collaborazione con il Dutch State Forestry Service, che descrive un nuovo modo di aiutare gli scienziati che si occupano di conservazione.
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Cos’è il rewilding?
Spesso accade che siano assegnate nuove etichette a discipline che esistono da decenni. È il caso del rewilding, che si sovrappone a quello che un tempo era chiamato restauro ecologico. Luigi Boitani, professore ordinario di Ecologia Animale e Biologia della Conservazione, non coinvolto nella ricerca presentata all’Egu General Assembly, spiega:
«Quella di rewilding è una nuova etichetta per una cosa antichissima che si chiama ecologia e studia le interrelazioni tra tutti i vari componenti di un sistema. Una delle discipline comprese nell’ecologia si chiama da sempre restauro ecologico, in inglese “restoration ecology”, che significa ricostituire le parti mancanti di un sistema ecologico».
Il restauro ecologico, infatti, è un processo guidato dall’uomo in cui si ricostruisce un ecosistema degradato, danneggiato o distrutto, utilizzando il più possibile le comunità vegetali, animali e il suolo presenti, nel tentativo di riportare quell’ecosistema nella propria “traiettoria storica” di sviluppo. Uno degli esempi più celebri, seppur ancora sottoposto ad analisi e critica, è quello della reintroduzione dei lupi nel Parco di Yellowstone, azione che avrebbe contribuito a modificare l’ecosistema, riducendo la popolazione di cervi e conseguentemente proteggendo salici e pioppi dal sovrapascolo. Tuttavia, elaborare un’azione di restauro ecologico e valutarne gli effetti è complesso, perché i fattori da prendere in considerazione sono numerosi. Tra le variabili in gioco ci sono anche quelle legate al paesaggio. Questo è stato il punto di partenza del progetto di ricerca della University of Amsterdam.
La geodiversità: come adoperarla per progetti di rewilding?
La geodiversità è definita come la naturale gamma di diversità di caratteristiche geologiche (rocce, minerali, fossili), geomorfologiche (forme del paesaggio, topografia e processi fisici), pedologiche e idrogeologiche in una data superficie. Come si inserisce la geodiversità in un piano di rewilding? Kenneth Rijsdijk, professore presso l’Istituto di Biodiversità e Dinamica degli Ecosistemi della University of Amsterdam e autore della ricerca presentata all’Egu General Assembly, descrive così la finalità dello studio: «Il nostro obiettivo era includere la qualità del paesaggio nel nostro approccio per aiutare i biologi che si occupano delle aree destinate alla conservazione. Per questo abbiamo adoperato il concetto di geodiversità, il quale comprende la variabilità spaziale di caratteristiche geologiche, geomorfologiche, pedologiche e idrografiche in un’area». Il gruppo di scienziati ha sviluppato un indice legato alla geodiversità di una determinata regione e ha cercato di capire in che modo potesse essere connesso ad altri valori che descrivono il successo di un’attività di rewilding. Per farlo hanno adoperato i dati pubblici sulla geologia, il suolo, l’idrografia e la geomorfologia relativi a 11 riserve naturali e li hanno elaborati inserendoli in un Geographic Information System (GIS), un sistema informativo computerizzato che permette la raccolta, la gestione e l’analisi di informazioni derivanti da dati geografici.
Restoration ecology: un problema complesso dalle risposte complesse
L’indice di geodiversità calcolato è risultato sempre correlato positivamente all’indice che descrive il successo del restauro ecologico: ciò suggerirebbe che la variabilità del paesaggio promuova la riuscita di un progetto di rewilding. Queste sono solo le prime elaborazioni – infatti lo studio non è stato ancora pubblicato in nessuna rivista scientifica – ed è ancora prematuro trarne delle conclusioni. Sarà necessario lavorare con un numero maggiore di dati affinché il calcolo di questi indici possa effettivamente essere integrato nei programmi di gestione di aree naturali interessate al restauro ecologico. È, però, importante evidenziare che la valutazione del paesaggio era già parte integrante nei progetti di rewilding. Boitani sottolinea:
La geomorfologia è il gradino iniziale di qualsiasi studio ecologico, ad esempio, in un’analisi di fattibilità della reintroduzione di un animale, l’eterogeneità ambientale è sicuramente importante.
La ricerca presentata all’Egu General Assembly è un ulteriore passo nella costruzione di modelli più articolati che possano predire con maggiore precisione gli effetti di un intervento di restauro ecologico. La conservazione prevede problemi complessi che non possono che avere soluzioni complesse.