Un gruppo di giovani si confronta a tavolino
Anche il modello cooperativo s'interroga sulla sfida della transizione (Foto: StockSnap da Pixabay)

Innovare in cooperativa. A colloquio con Simone Gamberini

In che modo le imprese centrate sulla mutualità stanno affrontando lo scenario critico di questo periodo? E come possono rappresentare un terreno di partecipazione dei giovani alla transizione? Risponde il direttore generale di Coopfond
5 Maggio, 2022
3 minuti di lettura

«I valori che hanno generato il modello cooperativo sono certamente in grado di interpretare i bisogni e le speranze delle nuove generazioni che si affacciano sul mondo del lavoro. Ma anche questo modello deve avere il coraggio di evolversi in vista della transizione che l’economia deve avviare». La pensa così Simone Gamberini, direttore generale di Coopfond, il fondo mutualistico di Legacoop, impegnato da tempo nella promozione di cooperative nel settore culturale e creativo, presidente dell’Istituto nazionale per lo studio e il controllo dei tumori e delle malattie ambientali “B. Ramazzini”, alla guida di progetti per l’innovazione e la trasformazione digitale delle imprese cooperative. Abbiamo proseguito insieme a lui il nostro viaggio nelle imprese che cercano una nuova via in un contesto certo non facile come quello che stiamo attraversando.

 

Simone Gemberini è il direttore generale di Coopfond
Simone Gemberini è il direttore generale di Coopfond (Foto: Coopfond)

 

Dopo la pandemia è arrivata una guerra di portata inedita, almeno per gli ultimi settant’anni, alle porte dell’Europa. Con quale spirito il mondo delle cooperative guarda alla fase che stiamo attraversando?
Sicuramente di grande preoccupazione, sia per la situazione in sé, sia per le conseguenze che avrà e in parte già sta avendo sul sistema produttivo. Assistiamo, infatti, ad aumenti del costo dell’energia che rischiano di spingere fuori mercato interi comparti produttivi. Ci sono imprese per cui la scelta è tra lavorare in perdita o chiudere.

Tutto questo deve farci percepire in modo ancora più forte la necessità di un mutamento radicale di paradigma, una rivoluzione sostenibile di cui abbiamo ormai necessità.

La transizione ecologica, nella sua dimensione più autentica, rappresenta una sfida anche per la competitività del modello cooperativo. Pensa che le problematiche del periodo possano portare in secondo piano questo obiettivo?
Davanti alle difficoltà di approvvigionamento energetico generate dalla guerra in Ucraina una delle prime soluzioni proposte è stata la riapertura delle centrali a carbone. Esiste quindi il rischio che la sostenibilità passi in secondo piano, ma anche che si facciano passi indietro. Noi crediamo però che, anche se così fosse, si tratterebbe di uno stop momentaneo. La consapevolezza, sempre più diffusa, della necessità di muoverci verso un modello di sviluppo alternativo ha radici profonde e non è reversibile.

 

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Quali processi formativi mettete in campo per orientare le imprese in uno scenario economico a complessità crescente e renderle capaci di produrre innovazione?
Per aiutare le cooperative ad imboccare con decisione questa strada, il Fondo mutualistico ha deciso innanzitutto di cambiare se stesso. Nasce così il bando Coop 2030 ma soprattutto il Bilancio di Sostenibilità, giunto quest’anno alla seconda edizione, un tentativo di rileggere la nostra attività alla luce di questi obiettivi, e il rating di sostenibilità. D’ora in poi nel valutare i progetti che le cooperative ci chiederanno di sostenere valuteremo non solo il merito finanziario o la qualità sociale, ma anche la sostenibilità sociale ed ambientale.

Crediamo che questo sia l’incentivo migliore per spingere le imprese ad evolvere rapidamente in questa direzione.

Come si deve innovare il modello cooperativo per intercettare le aspettative dei giovani e giocare un ruolo da protagonista nei processi di transizione?
Il modello cooperativo non è qualcosa dato una volta per sempre, ma è un modo di far vivere determinati valori – l’equità, la centralità della persona, il radicamento nella comunità, l’attenzione a chi verrà dopo di noi – nel mercato e nella società attuali. Non solo i nostri valori, ma la nostra stessa forma d’impresa, che è partecipata, democratica e inclusiva, sono in grado di giocare un ruolo importante nella transizione che abbiamo di fronte. Sta soltanto a noi far sì che questo avvenga davvero.

 

 

Si ripongono molte speranze nel Pnrr, le sembra che ci siano le condizioni per utilizzarlo al meglio, vale a dire come leva per aprire un ciclo economico su basi nuove, ispirate alla sostenibilità?
Il Pnrr costituisce sicuramente una grandissima opportunità per il nostro Paese: ci vengono chieste riforme – di cui abbiamo bisogno – e ci vengono date risorse per fare investimenti importanti. Il fatto che questi due aspetti procedano insieme è decisivo. È una grandissima opportunità, certamente. Nell’allocazione delle risorse abbiamo visto un’impostazione fortemente centralista, forse indispensabile in quella fase. Ora per non disperdere l’opportunità, per riuscire a spendere quelle risorse e a spenderle bene, serve un passo diverso, un grande coinvolgimento dei territori e delle forze economiche e sociali, una nuova capacità di alleanza tra pubblico e privato.

È difficile, certo. Ma è indispensabile. Si tratta di cambiare pelle al sistema produttivo del paese: un obiettivo che nessuno può pensare di realizzare calandolo dall’alto.

 

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