Il computer in prestito
Workbench invece che desktop, cassetti e camerette da sistemare a proprio piacimento. Chi si ricorda del sistema Amiga rammenta che era molto duttile e creativo. Utilissimo per sperimentare sin da piccoli, aldilà degli stereotipi
«Guarda com’è bello il cassettino: c’è più spazio!»
Scena di tanto tempo fa, all’alba del millennio. Mio figlio Riccardo ha otto anni e da qualche giorno ha a disposizione un computer tutto suo. Non è un Pc, come quello che purtroppo è costretto da tempo a usare il suo papà. E non è nemmeno un Mac, come il nuovo e bellissimo “tutto schermo” blu, plasticoso ma intrigante del fratello Alessandro, che e va già alle superiori. Quelle macchine performanti e “vincenti” non permettono, non hanno mai permesso né permetteranno in futuro agli utenti di organizzarsi davvero il proprio spazio sullo schermo. Forniranno set di icone, sfondi e “temi” e opzioni varie tra cui scegliere, ma sempre all’interno di cataloghi benevolmente proposti ma rigorosamente amministrati dai sistemi operativi. Sempre mancherà quel banalissimo comando, “fissa”, che sui sistemi Amiga (quello di Riccardo era un Amiga 1200 accelerato, mentre io, insieme e in rete con il Pc, continuavo a usare un altro Amiga 1200 accelerato un po’ di più) consentiva, dopo aver giocato a piacere con il Workbench (metafora del banco di lavoro, piuttosto che Desktop, scrivania) e i cassetti (traduzione grafica delle directory, piuttosto che cartelle) di decidere se adottare o no il nuovo aspetto dello schermo e anche di ogni nostra “cameretta” o magari se ritornare alle configurazioni precedenti.
Un computer dagli orizzonti (in)finiti
Qualcuno si chiederà: a cosa serve una cosa così? Semplice: a sentirsi a proprio agio, a casa! Il fatto di poter sistemare un ambiente di lavoro, o di gioco, come più ci piace e ci è comodo, in qualsiasi altro contesto è considerato importante per fare le cose bene. Ma con le macchine attorno a cui sono organizzati da decenni lavoro, produzione e tempo libero, i computer (e in generale gli aggeggi, le procedure, la burocrazia “digitale”) ci siamo abituati diversamente e siamo cresciuti con la convinzione che fondamentalmente siamo noi che ci dobbiamo adeguare: cose che succedono al passaggio del mouse senza che lo vogliamo, informazioni associate automaticamente per esempio agli archivi audio come “album” e “gruppo musicale”, anche se si tratta della nostra voce registrata (e quindi correzioni da fare tutte le volte che ci muoviamo fuori dagli standard previsti), “portali” in rete fatti malissimo e che però se non riusciamo a usarli pensiamo sia colpa nostra, e in generale l’idea che siamo lì un po’ in prestito o, come si dice, “in licenza”, alle prese con sistemi che benevolmente ci “facilitano” una vita convenzionale e stereotipata, con la paura di sbagliare piuttosto che la curiosità di esplorare orizzonti potenzialmente infiniti…
E ovviamente i più preferiscono la tecnologia intuitiva e deresponsabilizzante dei telefonini!
Le Demo, creatività anni ’90
Non a caso, prima che errori tecnici e commerciali enormi e la dura legge del mercato li portassero all’estinzione, proprio sui sistemi Amiga si svilupparono inizialmente la grafica 3 D e il multimediale, e anche forme artistiche nuove e originali come le Demo, opere di musica, effetti visivi e programmazione popolari negli anni 90, con cui artisti e creativi esploravano a fondo le possibilità dei mezzi digitali, stimolandosi l’un l’altro e crescendo insieme come un movimento. Viene spontaneo il paragone con la produzione, di massa ma rigorosamente individuale e competitiva, di versioni ridotte e addomesticate (caricature?) dei vecchi media, cioè testi, foto e video, che non richiede in pratica competenze tecnologiche o culturali perché hardware e software sono a prova di analfabeta, e che viene proposta oggi per lo più nei social network.
Amiga, un sistema vivo
Quando Amiga era un sistema vivo, sui CD che venivano rilasciati con le riviste e su internet uno spazio abbastanza importante erano le rassegne, le “gallerie” dei Workbench che gli utenti pubblicavano e condividevano: icone, finestre, pulsanti, su misura dei loro autori. Amiga mi piaceva anche perché era organizzato in un modo che letteralmente potevi vedere dove stavano le cose: avevi un cassetto per i monitor, uno le tastiere, uno le stampanti, uno per i tipi di dati, e se per un software succedeva che mancava una “libreria”, la prendevi in rete e semplicemente la mettevi nel cassetto delle librerie. Riccardo a otto anni “installava” i programmi trascinandoli con il mouse dai Cd Rom dentro i cassetti che preferiva, a cui metteva il nome e l’icona che voleva: fatto!
Non sarebbe un po’ più bello e vivibile un mondo in cui i dispositivi digitali personali, invece di continuamente rincorrerli, li potessimo sistemare noi a nostra immagine e somiglianza?
Saperenetwork è...
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Laureato al Dams di Bologna nel 1980, lavora sulle aree di conoscenza ed espressione attraverso cui soprattutto i bambini (ma non solo) possono partecipare da protagonisti alla società dell'informazione: Animazione teatrale, Video e audio, Fotografia, Libri e storie, Pubblicità, Ambiente, Computer, Web.
Cura laboratori e progetti in collaborazione con scuole, biblioteche, enti pubblici e privati, associazioni culturali e sociali, manifestazioni e festival, in Italia e all’estero. È autore di di video e multimediali, e di libri sia legati alla propria attività che di letteratura per bambini.
Alcuni libri: I bambini e l’ambiente, 2009; Nuova guida di animazione teatrale (con David Conati), 2010; Technology and the New Generation of Active Citizens, 2018; I Pianeti Raccontati, 2019; Il bambino che diceva le bugie, 2020. Video: La Cruzada Teatral, 2007, Costruiamo insieme il Museo Virtuale dei Piccoli Animali, 2014; I film in tasca, 2017; Continuavano a chiamarlo Don Santino, film e backstage, 2018.
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