Il termine ecologia è inteso in senso esteso, come attenzione all’equilibrio tra i diversi elementi di un sistema, il cui sviluppo non andrebbe influenzato da forzature esterne al sistema stesso. Come l’ecologia propriamente detta si riferisce agli ambienti in cui vivono le specie vegetali e animali, il suolo, l’aria, l’acqua, il clima, così, in riferimento agli umani, l’ecologia considera i diversi aspetti della nostra esistenza – corpo e mente, cultura e natura, affetti e socialità, ritmi e stili di vita – come un sistema alla ricerca di un proprio equilibrio.
Ecologia in educazione significa, a mio parere, basarsi su quello che i bambini e le persone sono e sanno, come individui, gruppi, collettività.
Oggi, la presenza capillare e invasiva della tecnologia nella nostra vita non si può dire rappresenti un fattore di equilibrio, anche per alcuni errori che commettiamo.
Il primo è pensare che gli umani si debbano comunque adeguare, per cui, se una macchina o un software ci mettono a disagio, pensiamo che il problema sia nostro. In parte è vero, dato il livello tuttora molto basso e anzi decrescente di alfabetizzazione tecnologica dei cittadini della società dell’informazione, in balia del mercato. Tuttavia, in molti altri casi quella macchina e quel software sono semplicemente pensati e progettati male, non si combinano armonicamente con il nostro sistema. E allora dovrebbero essere loro ad adeguarsi.
Un altro errore è osservare i comportamenti umani come se fossero i dati di una realtà oggettiva su cui noi non possiamo intervenire, ma soltanto descriverla. Non solo, alcuni partono, per esempio, dal proprio personale disagio nell’uso della tecnologia, o dall’apparente facilità con cui viceversa la usano i bambini, per costruirci sopra teorie generali che non hanno nessuna base scientifica, ma che “acchiappano” un’opinione pubblica sempre alla ricerca di alibi alla diffusa pigrizia intellettuale e mancanza di attenzione.
Si disquisisce di bambino e televisione, bambino e videogiochi, o telefonini, quasi sempre al singolare, considerando i cuccioli di uomo uno per uno, nelle case, in famiglia, o in spazi sociali in cui si registrano come dati generali e irreversibili il deficit d’attenzione e il bullismo, per cui si pensa di far intervenire nella scuola battaglioni di psicologi.
Quasi mai si considerano i bambini come gruppo, come una comunità possibile le cui dinamiche non necessariamente devono essere solo lo specchio di un disagio sociale, e che quando sono messi nelle condizioni di sviluppare in modo armonico il proprio sistema, sanno esprimere un punto di vista autonomo, originale, intelligente, una cultura che può dare molto al mondo di oggi.
Senza minimizzare problemi che senz’altro ci sono, nella mia esperienza di frequentatore di scuole da diversi decenni – altri scenari sono possibili – non trovo affatto che i bambini siano così cambiati e vedo e verifico che, durante certe attività, deficit di attenzione e bullismo praticamente non si verificano.
Si parte dal corpo, dai sensi, dalla natura, e si gioca, si conosce e si produce insieme, usando anche tutta la tecnologia che c’è. Cioè, l’approccio è ecologico e loro sono contenti.