Tra il 2009 e il 2011 tenevo un blog professionale, Bambini Oggi, per il network Blogosfere. “Professionale” significa che per contratto devi pubblicare praticamente tutti i giorni e di guadagno ti arriva poco, se non hai un sacco di visitatori. Quelli li fai se scrivi di calcio, cantanti, politica ed economia, o di sesso.
Un presente inaccessibile
Pubblicai 944 articoli, e non è rimasto nulla. L’idea corrente che in rete “non si perde mai niente” non è esatta. Basta, come in questo caso, “reindirizzare”, che ogni clic a una certa pagina semplicemente ti porta da un’altra parte. Cioè, se anche i miei articoli ci sono ancora, nessuno li può leggere. C’erano anche un paio di siti web di cui a un certo punto, per varie ragioni, non ho rinnovato il dominio. E anche quelle pagine ora non sono più accessibili.
Perdere la memoria
Nella nostra era “digitale” un problema grosso è che – socialmente parlando – abbiamo sempre meno memoria. Con tutte le informazioni in rete in modo istantaneo, gli “assistenti” tecnologici che fanno le cose per noi, succede, per esempio, che un politico dice una cosa e il suo contrario il giorno dopo, e noi continuiamo a credergli. O anche, molti caricano in massa foto e video nel cloud senza nemmeno guardarli (e la banda larga si intasa di immense discariche digitali!) e non sanno nemmeno dove sono i lori dati personali. Se internet non funziona, se un incidente ferma un server in Corea, o se il presidente (ormai ex) Trump decide di bloccare la nostra app preferita, rischiamo di perdere tutto.
Uno spreco immenso
Io, tutti gli articoli di quel blog, così come il contenuto dei siti dismessi, li ho archiviati nei miei computer, in dischi rigidi esterni e, se serve recuperare qualcosa, so dove cercare. Stiamo sprecando possibilità uniche nella storia di condividere l’esperienza personale e collettiva e di produrre direttamente cultura e informazione, attivamente, tutti, utilizzando il potere immenso della rete.
Continuiamo, come i consumatori degli anni ’60, ad acquistare merci dall’industria e a essere informati dai mass media, e riusciamo a stare in miliardi, ognuno in pratica per conto suo, dentro in spazi chiusi e dispersivi come i social network, il cui fine principale è sfruttare commercialmente i nostri dati personali.
Leonardo e la Gioconda, solo questione di pennelli e colori?
Apprendiamo l’uso di sistemi aperti come i Pc e i telefonini (milioni di possibilità, in gran parte da scoprire) come le macchine “chiuse” tipiche della società industriale, le cui funzionalità stanno tutte in un libretto di istruzioni. Nelle discussioni in rete sulla scuola, didattica, trasmissione di contenuti, hardware e software, sembrano interessare molto di più di quello che gli studenti poi effettivamente fanno. Come se la Gioconda di Leonardo ci stimolasse una discussione su pennelli e colori!
La schiavitù del mercato
Nel 1978 Ivan Illich descriveva la “versione moderna della povertà”: «Fa la sua apparizione quando l’intensità della dipendenza dal mercato arriva a una certa soglia. Sul piano soggettivo, essa è quello stato di opulenza frustrante che s’ingenera nelle persone menomate da una schiacciante soggezione alle ricchezze della produttività industriale. Essa non fa altro che privare le sue vittime della libertà e del potere di agire autonomamente, di vivere in maniera creativa; le riduce a sopravvivere grazie al fatto di essere inserite in relazioni di mercato».
Recuperare il presente per capire il futuro
Con progetti come Signs sto cercando, con colleghi e operatori da diverse parti del mondo, di recuperare nel presente, ma anche in anni e decenni passati, “segni” di bambini, digitalizzati e quindi facilmente accessibili, la cui raccolta e messa in ordine potrebbe essere utile a capire non solo l’infanzia nel mondo di oggi, ma anche quale potrebbe essere, contro la superficialità e gli sprechi di un mercato usa e getta che ci lascia sempre meno padroni della nostra vita, un utilizzo positivo e sereno, attivo e responsabile della tecnologia.