Futuro, sostenibilità, pace, migrazioni. A tu per tu con Moni Ovadia
Attore, scrittore, bulgaro e milanese di origine ebraica, attivista per i diritti sociali e per l’ambiente, pacifista, cittadino del mondo. Uno dei performer e autori più poliedrici e interessanti del teatro contemporaneo ci racconta il suo punto di vista sul presente
Le risposte alle domande arrivano calorose, per nulla scontate, seppur poste a tarda ora, dopo una serata impegnativa, un acceso dibattito sull’identità politica nel nostro tempo, a confronto con il politologo Marco Revelli. E dopo tante strette di mano, saluti, ricordi, persino richieste di aiuto, da coloro che lo hanno ascoltato con attenzione. Ogni incontro con Moni Ovadia apre al sorriso, all’ironia pungente e all’intelligenza, rimettendoci davanti a noi stessi e alle complessità delle nostre vite, dei nostri mondi, culture e religioni. Siamo nell’Italia del nord est, nella sede della Società Operaia di Mutuo Soccorso ed Istruzione (SOMSI) a Cividale del Friuli, dove Moni Ovadia è stato direttore artistico del MIttelfest, vent’anni orsono e dove ha ridebuttato questa estate con lo spettacolo Senza Confini, Ebrei e Zingari, grazie all’invito del direttore Giacomo Pedini. È di dieci anni fa, per chi scrive, il precedente incontro, a quattrocento chilometri più a ovest, nell’ex Stalingrado d’Italia, a Sesto San Giovanni, al Centro di Iniziativa Proletaria Tagarelli. Allora, come oggi l’uomo e l’artista, sono tutt’uno, sempre dalla parte dei più deboli della Storia.
Guarda il video di “Senza confini” di Moni Ovadia
Cittadino del mondo
Bulgaro e milanese, di origine ebraica e mitteleuropeo, attore e scrittore, chi è oggi Moni Ovadia?
«Ho 78 anni e mi sento cittadino del mondo, un attivista per i diritti sociali, per i diritti dei popoli, contro le guerre, contro ogni forma di sopraffazione dell’uomo sull’uomo».
Ovadia ha preso pubblicamente posizione, molto scomoda per chi ha fatto parte della Comunità ebraica milanese, su ciò che sta accadendo a Gaza e nell’Europa dell’Est, in Ucraina. «Lo slogan che tutti citano, “Si vis pacem para bellum”, (“se vuoi la pace prepara la guerra”, ndr) è stato inventato da un sistema imperialista, grandioso, come quello l’impero romano, il cui scopo era imporre il proprio dominio. Quello che dico, convintamente, è invece “Se vuoi la prepara la pace”. Le guerre preparano solo altre guerre».
L’altro mondo ancora possibile e la gen Z
Motivi per essere dalla parte di chi ancora chiede “un altro mondo possibile”, quella generazione Z, così bistrattata, precaria e senza certezze, in piazza per il clima e contro l’inquinamento fossile, nonostante decreti e norme stiano cercando di blindare ogni dissenso. «Sono profondamente preoccupato per i ragazzi di oggi. Noi adulti dobbiamo essere dalla loro parte, dobbiamo proteggere il loro diritto a manifestare, al di là di quello che dicono e diranno. Se si ravvisano elementi di reato, ci saranno i tribunali, ma non deve esserci la polizia che picchia». E il pensiero va ai fatti di Pisa, e a quel “manganellare i ragazzi è un fallimento”, pronunciato persino dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
Il teatro, la finzione dove niente è falso
Per questo devono sapere che ci siamo. Chi ha una posizione autorevole deve esercitarla. E loro sanno che ci sono. Nelle scuole, a teatro, nelle piazze. E mi ascoltano, anche quando li metto davanti all’uso che fanno dello smartphone. Che non serve solo per chattare, ma anche per leggere, scoprire mondi – racconta. «C’è un segreto per comunicare a questa generazione, o meglio solo una piccola intelligenza: devono sentire che quello che dici è vero. Che c’è l’urgenza di trasmettere pensiero critico e memoria. Che quello che comunichi loro, lo senti tu per primo. Come diceva Gigi Proietti, “Viva er teatro, dove tutto è finto, ma niente c’è de farzo».
Ambiente e migrazioni
E l’uomo di teatro esprime con chiarezza la sua posizione anche riguardo alla protezione dell’ambiente. «Non permetterei a nessun uomo di ipotecare il futuro della Terra, a causa di uno sviluppo insostenibile. Chi inquina deve essere responsabile e pagare il danno. Mentre l’iper-liberismo ci chiede di essere “padroni” non solo del pianeta, ma anche del Dna di piante, di animali, noi siamo solo custodi». A poche settimane del successo della raccolta firme per il referendum sulla cittadinanza Moni Ovadia, ricorda come siamo tutti figli della migrazione. «L’umanità nasce da una serie di migrazioni, chi lo nega è in malafede e soprattutto nega la nostra complessità. Lo straniero è benedizione in cammino, è il nostro futuro».
Accoglienza, l’unica soluzione
E aggiunge: «Non può definirsi cattolico chi non accoglie: la parola stessa “cattolicesimo” deriva dal greco “katholikòs”, che significa “universale”, per tutti, verso il prossimo, non “sopra”. E il cattolicesimo ha scelto Roma, il centro del mondo antico, percorrendo un magistero in cui si dichiara che il Vangelo è per tutti. Da qui, chi respinge i migranti, chi crea centri in Albania, fa solo propaganda e retorica». Parole che, dette poco distanti dalla Slovenia e dalla Trieste punto di arrivo della “rotta balcanica”, hanno un certo effetto.
«L’importante è che i confini siano proprio il luogo dell’incontro, della gemmazione, del rapporto umano. Gli animi cedono e si accolgono reciprocamente, attraverso la conoscenza, la cultura, la musica, il cibo. Tutto questo è vita, se non si comprende, davvero non si sa cos’è il senso della nostra esistenza».
Saperenetwork è...
- Giornalista d’inchiesta e civica, pasionaria del diritto di sapere e della trasparenza. Nata come blogger e redattrice sociale, nelle mie tante vite sono stata anche una critica teatrale. Grazie a Sapereambiente tanti fili rossi si riuniscono intorno alla bellezza e al bisogno continuo di conoscenza. Di umanità che non si arrende, nella natura, nella cultura, nella musica. Alla ricerca di buone storie all’insegna della sostenibilità e di un cambiamento possibile.
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