

Uno spazzolino da denti in bambù. Uno di quegli oggetti venduti come “ecologici” e “biodegradabili”. Uno spazzolino di bambù la cui impugnatura si annerisce ed emana un odore sgradevole se non asciugata con un phon dopo l’utilizzo, con conseguente consumo di energia elettrica e con setole in nylon che vanno smaltite nella raccolta indifferenziata. Uno spazzolino da denti della durata molto inferiore rispetto al corrispettivo nella giustamente vituperata plastica, che però è costato il doppio. Un articolo comprato con le buone intenzioni di un cittadino. che desidera fare la sua parte per salvare il Pianeta e che si ritrova ingannato da uno dei prodotti di una svolta green di facciata. È questo il punto di partenza del saggio Il mito infranto. Come la falsa sostenibilità ha reso il mondo più ingiusto (Codice Edizioni, 2025), di Antonio Galdo, giornalista e scrittore esperto di tematiche ambientali.
Motore ingolfato
Il mito infranto squarcia il velo del falso green, di una “sostenibilità” che aumenta vertiginosamente il divario tra classi sociali e non contribuisce comunque a migliorare la salute del Pianeta in cui viviamo. Scrive l’autore: «Il vecchio motore truccato del capitalismo – produrre di più per consumare e sprecare di più – si è ormai ingolfato, e a farlo ripartire ci ha pensato la sostenibilità, le cui vele si sono gonfiate anche grazie a una ricchezza sempre in crescita e via via più concentrata nelle mani di alcuni».
Dati alla mano
Galdo esamina — attraverso dati, pubblicazioni scientifiche e l’ascolto di esperti — alcuni settori dell’economia, della società e della nostra quotidianità, quali alimentazione, salute e consumi, seguendo come guida i 17 obiettivi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. Un percorso a tappe che svela i numerosi tranelli nascosti dall’etichetta del progresso verde, come l’attuale inutilità delle conferenze delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici o lo sfruttamento di risorse legato a prodotti, quali capi d’abbigliamento e mobili, che salvaguardano l’ambiente solo sulla carta.
Sostenibilità e giustizia sociale
A pagare il conto di questa falsa sostenibilità sono ancora i paesi in via di sviluppo e le classi sociali meno abbienti. C’è l’Africa che continua a essere la pattumiera dei rifiuti prodotti dalle nazioni più ricche, con le maggiori discariche a cielo aperto del pianeta. A Mbeubeuss, in Senegal, circa quattromila persone, tra cui bambine e bambini, lavorano in una discarica di 175 ettari. Una condizione drammatica, come racconta Antonio Galdo: «Acciaio, alluminio e rame: tutto estratto senza alcuna protezione, e quando una bombola di gas esplode tra le mani di un raccoglitore, nessuno si preoccupa di recuperarne il cadavere, che finisce sommerso tra i rifiuti».
Il peso della disuguaglianza
Rifiuti elettronici, vestiti buttati via o restituiti con il reso alle grandi aziende di vendita online, plastica, ma anche i materiali che compongono i nostri pannelli fotovoltaici, quelli che dovrebbero garantirci energia pulita e che finiscono per essere sporchi del sudore e del sangue di un continente che non riesce a liberarsi dal giogo del colonialismo. Gli oppressori, negli ultimi decenni, hanno solo cambiato volto. Invece, per i nostri poveri, il peso della disuguaglianza viene esercitato, ad esempio, con l’aumento dei prezzi di alimenti sani per le persone e per l’ambiente, diventati un lusso targato “biologico”. Per non parlare delle auto elettriche, appannaggio di pochi.


Allenare lo spirito critico
Il panorama delineato dal libro è desolante perché, se a una parte delle cittadine e dei cittadini del mondo basta pulirsi la coscienza sbandierando il timbro della sostenibilità senza porsi troppe domande, c’è chi realmente vuole contribuire a un futuro migliore. Ma come? L’autore evidenzia che una vera sostenibilità richiede prima di tutto un’azione politica determinata e incisiva: una politica globale fatica a imporsi, frenata da interessi economici e giochi di potere, mentre le scelte davvero cruciali vengono spesso messe in secondo piano rispetto alle logiche di mercato. Il secondo fattore decisivo sono proprio i nostri stili di vita e gesti quotidiani, tra cui personalmente riserverei un posto importante all’esercizio dello spirito critico. Non accontentiamoci di ripetere — senza capire — ciò che ci viene detto da chi ha interesse a venderci una falsa sostenibilità, impariamo a porre le giuste domande.
E questa è probabilmente la lezione più preziosa di questo mito infranto.