L’apocalisse di Lucrezio, il lato punk della Natura

"Mosaico della caccia" III-IV sec. d.C. Villa romana del Casale, Piazza Armerina - Enna (Foto: Wikipedia)

Non saranno “i raggi del sole” o “i fulgidi dardi del giorno”, bensì “la visione e la scienza della natura” a dissolvere “il terrore dell’animo e le tenebre” in cui versa tutta l’umanità. Con questi versi il poeta latino Lucrezio, vissuto nel I secolo avanti Cristo, definisce il compito del suo poema, che ha la pretesa di svelare – proprio nel senso letterale di “togliere il velo”-  la realtà, mostrando così la verità delle cose. E la verità delle cose consiste in una prospettiva nuova per il mondo romano dell’epoca: quella incentrata sulla natura appunto. Tanto da fare del De rerum natura (“La natura delle cose”) un’opera controcorrente, anticonformista, scandalosa e per questo non a caso fatta cadere nell’oblio per secoli, fino alla riscoperta nel Rinascimento. Come era stato isolato il suo autore, una sorta di poeta maledetto, pazzo o suicida per amore. Proprio lui che l’amore, così come la morte, l’aveva disprezzato e persino deriso nella sua opera.

 

Lucrezio raffigurato in un busto ottocentesco al Colle Pincio, a Roma (Foto: Wikipedia)
Lucrezio raffigurato in un busto ottocentesco al Colle Pincio, a Roma (Foto: Wikipedia)

 

Lucrezio, poeta controcorrente

A tornare sui versi di Lucrezio, sepolti forse in qualche memoria che risale ai tempi del liceo, ci accompagna Ivano Dionigi con il suo L’Apocalisse di Lucrezio. Politica, religione, amore (Raffaello Cortina Editore). Quella di Dionigi, già professore di Letteratura latina all’Università di Bologna, è una lettura critica ricchissima di rimandi tanto da creare una trama di esempi letterari e personaggi che illuminano gli ostici versi del poeta latino. L’autore ci accompagna nel poema scientifico di Lucrezio, con ampie citazioni e una fitta rete di richiamo agli autori antichi, greci e latini a cui Lucrezio a fa riferimento nelle sua opera: dai modelli come il suo maestro, il filosofo greco Epicuro, agli antagonisti da cui lo separa tutto come i classici latini Cicerone, Orazio o Seneca.

La radicalità degli atomi

Nella sua visione delle cose, Lucrezio parte da un punto semplicissimo: alla base di tutto ci sono gli atomi. Un assunto porta il poeta a trarre conseguenze radicali, come nessuno prima di lui aveva osato fare.

«Noi uomini, formati di atomi, siamo marginale e addirittura minuscola parte dell’universo, al pari dei fiori e delle piante, dei ruscelli e degli animali», commenta Dionigi.

«Nessuna centralità dell’uomo o dell’universo, dal momento che gli universi sono infiniti; e nessuna gerarchia tra le foglie degli alberi, i fiocchi di neve, i sassi del fiume, le messi, gli arbusti, le specie dei viventi, il cielo, il mare, la Terra. Tutti della stessa natura, formati dagli stessi atomi (eadem elementa), governati dalla stessa legge, vincolati dallo stesso principio (eadem ratio). Tutto è in relazione, anzi tutto è relazione e ha un destino comune e quindi tutto ha la stessa dignità».

 

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La Natura è il centro, non l’uomo

Grazie a questo naturalismo radicale e antigerarchico, Lucrezio polverizza uno ad uno i principi del mondo classico, a partire da quello della compiutezza e dell’equilibrio, nella natura come nella vita umana. Se la natura è al centro, l’uomo non è più cardine dell’universo e l’universo non è più chiuso e armonico: sembra di leggere le parole di un altro pensatore radicale come il filosofo Giordano Bruno, più di 1600 anni dopo Lucrezio predicatore proprio dell’infinità del cosmo. Nel saggio di Ivano Dioonigi c’è anche molto altro. Ogni capitolo di questa lettura del De rerum natura, non solo apre un tema chiave – la falsità della religione, l’inutilità della politica, l’impossibilità dell’amore e l’accettazione della morte – e percorre il poema dalle prime rivelazioni potenti come lampi fino all’affresco finale della peste di Atene, ma lo illumina anche con assonanze e fuori dal tempo. Come, ad esempio, nel passaggio dove per farci capire l’importanza della rassegnazione di fronte alla morte, Dionigi cita il famoso discorso di Steve Jobs nel 2015 a Stanford:

«La morte è miglior invenzione della vita…fa piazza pulita del vecchio per aprire la strada del nuovo».

Lucrezio è vissuto nel I secolo avanti Cristo. Ma si può essere nuovi pur avendo più di duemila anni. Punk is not dead. Anzi meglio: Punk never dies.

 

Saperenetwork è...

Andrea Valdambrini
Andrea Valdambrini
Giornalista, laureato in Filosofia, ha cominciato sbagliando tutto, dato che per un quotidiano oggi estinto recensiva libri mai più corti di 400 pagine. L’impatto con il reportage arriva quando rimane bloccato dalla polizia sotto la Borsa di Londra con i dimostranti anti-capitalisti. Tre anni nella capitale inglese, raccontandola per Il Fatto Quotidiano, poi a Bruxelles, dove ha seguito le elezioni europee del 2014 e del 2019. Nel 2024 rischia di fare lo stesso, stavolta per Il manifesto.

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