“Giungle”, la storia del mondo vista dai tropici
L’archeologo Patrick Roberts rivela come le foreste tropicali abbiano contribuito a renderci ciò che siamo e come le abbiamo, dal colonialismo in poi, sfruttate in modo insostenibile, gettando le basi per gli odierni squilibri ecologici e sociali. E propone un nuovo modo di viverle e gestirle per non minacciarne la sopravvivenza
Selvagge, isolate e inaccessibili. È il modo in cui spesso pensiamo le foreste tropicali, luoghi lontani che nell’immaginario di molti hanno poco a che fare con il “nostro” mondo. Eppure, è in queste foreste che sono avvenuti alcuni dei passaggi più importanti della nostra storia, con effetti che in molti casi vediamo ancora oggi. Ed è qui che possiamo cercare i segreti per abitare il pianeta in modo sostenibile. Dall’Amazzonia alle foreste pluviali del Sudest asiatico, passando per l’Africa tropicale, in “Giungle. Come le foreste tropicali hanno dato forma al mondo e a noi” (Aboca Edizioni, 2022),
l’archeologo Patrick Roberts, ricercatore del Max Planck Institute, ci accompagna in un viaggio attraverso le foreste di tutto il pianeta, raccontandoci le creature che le abitano, gli eventi che le hanno attraversate e come questi ambienti abbiano plasmato il mondo che ci circonda.
Con un salto all’indietro di centinaia di milioni di anni, Roberts ripercorre i primi passi degli organismi vegetali sul nostro pianeta e li segue fino ai giorni nostri. Se i primi alberi giganti iniziarono a crescere sulla Terra intorno ai 420 milioni di anni fa, è nel Carbonifero (fra i 359 e i 300 milioni di anni fa) che le foreste hanno fatto la loro comparsa sul pianeta. Alberi dalle spesse cortecce, avvolti da liane e rampicanti, crescevano e si diffondevano sulle regioni tropicali del supercontinente Pangea, mentre quelli che morivano andavano a creare sotto al suolo quei bacini carboniferi che abbiamo poi riscoperto come fonte di combustibile e che oggi stanno minacciando gli eredi di quegli antichi ecosistemi.
Con la comparsa delle prime foreste iniziava allora un processo di trasformazione del pianeta: un nuovo clima, nuove specie vegetali e nuovi animali. È un momento della storia in cui le creature esistenti sul pianeta evolvono inseguendo la vegetazione e, intanto, la modellano.
C’è stato un tempo in cui i dinosauri erbivori rappresentavano il 95% della biomassa di vertebrati esistenti sulla Terra, con alcune specie in grado di consumare oltre 200 chilogrammi di vegetazione al giorno. È sorprendente pensare come, nonostante la grande narrazione letteraria e cinematografica sui dinosauri, troppo spesso si dimentichi il ruolo che la vegetazione e le foreste tropicali hanno avuto nel loro dominio sul mondo e come esse, a loro volta, siano state influenzate da queste creature. Alla ricerca di questi intrecci, Roberts racconta come per esempio c’è chi considera i dinosauri “gli inventori dei fiori”, indicando così il loro ruolo nella diffusione sul tutto il pianeta delle angiosperme, piante che oggi rappresentano circa l’80% degli organismi vegetali presenti sulla Terra, e come alcuni scienziati parlino di “dinoturbamento”, facendo riferimento alla loro attività di “giardinieri”. Giungle è il racconto di dinosauri, rettili, anfibi, mammiferi e uccelli che cercano di stare al passo con un pianeta in cambiamento, sfruttando le opportunità che ambienti come le foreste delle zone tropicali ed equatoriali offrono. Fra loro, introno ai 6 milioni di anni fa, iniziano a comparire i primi ominini preumani e, più tardi ancora, circa 3 milioni di anni fa, i primi rappresentati del genere Homo.
Sebbene infatti gli spazi aperti abbiano rappresentato l’ambiente ideale per sviluppare alcune delle nostre caratteristiche più peculiari, Roberts dimostra come i tropici e le loro foreste abbiano giocato un ruolo molto più attivo nella nostra storia evolutiva.
Il bipedismo, per esempio, ha iniziato a manifestarsi a pieno in ambienti come le savane, dove una postura eretta e mani libere da compiti di deambulazione sono stati cruciali. Ma è nelle giungle tropicali che alcuni nostri lontani parenti hanno mosso i loro primi passi, ed è sempre nelle foreste che troviamo oggi il “più bipede” fra i primati non umani: l’Organo. Grande scimmia antropomorfa che usa il bipedismo per muoversi fra un ramo e l’altro delle foreste tropicali del Borneo e di Sumatra.
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Per raccontare tutto questo Roberts si affida a fonti che provengono dalla scienza, rendendole scorrevoli a chi non è abituato – e magari non vuole – districarsi fra articoli scientifici e accademici, e alle testimonianze dei ricercatori sul campo. Prove archeologiche, paleontologiche e botaniche, che diventano poi storiche quando inizia a raccontare del mondo tropicale subito prima e subito dopo l’epoca delle grandi esplorazioni (e delle rovinose conquiste).
È nelle pagine della seconda parte del libro che l’autore coglie l’importanza delle foreste tropicali per la nostra civiltà. Come esse ci abbiano aiutato a diventare ciò che siamo e come, a partire dall’epoca coloniale, le abbiamo iniziate a sfruttare in modo insostenibile, gettando le basi per le disuguaglianze sociali e gli squilibri ecologici che oggi viviamo.
Rallenta la lancetta del tempo e si spazia fra le terre dei Maya, con gli abitanti di queste zone che gestivano le piante forestali come “giardini boschivi”, fra le rovine delle grandi città cresciute nelle foreste del Sudest asiatico, come la Grande Angkor in Cambogia, il più vasto complesso di insediamenti preindustriali conosciuto, oppure fra le foreste pluviali del bacino amazzonico, abitate per secoli da popoli che avevano eretto città-giardino e creato un’urbanizzazione diffusa molto più in armonia con l’ambiente di quanto noi oggi siamo in grado di pensare. Popolazioni che hanno prosperato fino all’arrivo delle potenze coloniali, capaci in pochi secoli di far collassare intere civiltà. Giungle è anche il racconto di come l’imperialismo ecologico – in riferimento alla strategia di sfruttamento totale dei nuovi territori – successivo alla scoperta delle Americhe sia alla base degli attuali squilibri ecologici e sociali.
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Secoli di lavoro forzato di piante, territori e persone hanno delineato il modo in cui oggi abitiamo il pianeta e prodotto danni a lungo termine al mondo naturale. È questo uno dei punti centrali del racconto di Roberts: riconsiderare il nostro modo di vivere e pensare le foreste. Non più ambienti inospitali e lontani dai quali spremere risorse, ma ecosistemi dei quali essere parte con equilibrio. Per farlo, la chiave è includere quei popoli, che da secoli abitano le foreste, nelle strategie di gestione e conservazione. E al riguardo Giungle è un susseguirsi di esempi, alcuni sorprendenti, che potrebbero guidare un nuovo modo di vivere e gestire le foreste, e le zone tropicali, senza intaccarne la sopravvivenza. Ambienti con i quali abbiamo un’affinità molto più profonda di quanto pensiamo e verso i quali abbiamo delle responsabilità. Come ci ricorda Roberts,
«Non si tratta di ambienti lontani ed esotici dall’altra parte del mondo. Attraverso una preistoria e una storia intrecciate, hanno infatti trovato la loro strada nelle vostre case. Non importa dove vi troviate«».
Saperenetwork è...
- Naturalista rapito dal fascino per il mondo naturale, sommerso e terrestre, e dei suoi abitanti, spera un giorno di poterli raccontare. Dopo la Laurea in Scienze della Natura presso l’Università di Roma “La Sapienza” va in Mozambico per un progetto di conservazione della biodiversità dell’Africa meridionale. Attualmente collabora come freelance con alcune testate come Le Scienze, Mind e l’Huffington Post Italia, alla ricerca di storie di ambiente, biodiversità e popoli da raccontare
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