Il Brasile ha 115 gruppi di indigeni isolati, più di qualsiasi altra nazione latinoamericana. Antonio Oviedo, rappresentante del Socio-environmental Institute, ha spiegato che 33 anni fa la Fondazione Nazionale dell’Indio (Funai) ha deciso che per preservare l’esistenza di queste tribù sarebbe stato fondamentale isolarle dal resto del paese, una decisione ritenuta un successo. Ma ora sotto la presidenza di Jair Bolsonaro, Funai sta modificando queste decisioni senza il parere degli indigeni. In una sessione del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite a Ginevra, il 2 marzo, Yanomami Davi Kopenawa, leader della tribù Yanomamö ha detto alla comunità internazionale che il presidente brasiliano con le sue politiche sta distruggendo le riserve degli indigeni in Amazzonia.
Lo confermano i dati pubblicati dalla Commissione Arns, organizzazione non governativa per la difesa dei diritti umani: 42.679 ettari dal 2018 al 2019 sono stati deforestati, con un aumento dell’80% rispetto al 2017-18. Gli indigeni, considerati i guardiani della foresta, sono sempre più soli, e fanno fatica a difendere le loro terre. Intanto Laura Greenhalgh, direttrice esecutiva della Commissione, ha inviato una petizione contro Bolsonaro al Tribunale penale internazionale.
«I bianchi non possono distruggere la nostra casa perché, se lo fanno, le cose non finiranno bene per il mondo intero –ha dichiarato Davi Kopenawa – Stiamo curando la foresta per tutti, non solo per gli Yanomami e le popolazioni isolate. Lavoriamo con i nostri sciamani che comprendono bene queste cose, che possiedono saggezza che viene dal contatto con la terra».