Habitat connessi e funzionali, così i filari alberati proteggono la biodiversità
Dalle più tradizionali alle più strettamente ecologiche, le funzioni riconosciute a queste installazioni sono molteplici. Nel corso degli anni diversi studi e ricerche hanno dimostrato il loro ruolo nel favorire la connettività del paesaggio
Migliorare la cosiddetta connettività ecologica, dopo che la frammentazione degli habitat è stata riconosciuta come la principale causa di perdita di biodiversità a livello globale, è divenuto un imperativo. Stiamo parlando di un attributo del paesaggio che può essere di natura strutturale, quando si considera solamente l’arrangiamento spaziale degli habitat, oppure funzionale quando nella sua valutazione si tiene conto anche del comportamento delle specie selvatiche.
Questione di sopravvivenza
Come ha sottolineato uno studio di Pavel Kindlmann e Françoise Burel del 2008, un paesaggio connesso è un paesaggio che consente la mobilità e la dispersione organismi. Il movimento di volpi, cervi, lupi, roditori e non solo, requisito indispensabile per la loro sopravvivenza, è infatti fortemente inibito in ambienti semi-naturali dove le attività dell’uomo hanno portato ad una riduzione e scomparsa degli habitat originari.
Numerosi studi hanno evidenziato come gli elementi lineari del paesaggio, funzionando letteralmente da “corridoi” tra appezzamenti di habitat residui, favoriscono il movimento delle specie migliorando la connettività funzionale. Tra questi elementi, forse dato il loro antico retaggio culturale, i filari alberati sono sicuramente quelli che hanno suscitato l’interesse maggiore.
Guardiani di biodiversità
Nel 2005, grazie all’ambizioso progetto di ricerca Millenium Ecosystem Assessement, è stata riconosciuta la loro importanza per la salvaguardia della biodiversità. Ad esempio: «La presenza di elementi lineari – ha affermato nel 2009 l’ecologo Robert Wolton – è risultata essenziale per la conservazione di 130 specie minacciate nel Regno Unito: 10 di licheni, 72 di invertebrati, 5 tra rettili e anfibi, 20 di uccelli e 11 di mammiferi».
Leggi il report “Ecosystems and Human Well-being” del Millennium Ecosystem Assessment
Tuttavia, una scorretta gestione del territorio nella maggior parte dei paesi a forte determinismo industriale ha comportato, nelle ultime decadi, la perdita o il degrado di numerosi elementi connettori con conseguente riduzione del grado di connettività degli ecosistemi. Una recente indagine dei Dipartimenti di Ecologia ed Evoluzione dell’Università Autónoma e dell’Università Complutense di Madrid, ha messo in luce che in dieci anni i filari alberati e altri elementi lineari, hanno subito delle consistenti alterazioni a causa dell’abbandono dei terreni, dell’espansione urbana, della frammentazione del paesaggio e dell’intensificazione delle pratiche agricole.
Il “topo del legno” indicatore di connettività
Per favorire la tutela di questi preziosi elementi paesaggistici, un progetto di ricerca dell’Università di Roma La Sapienza si è dedicato alla valutazione della connettività ecologica enfatizzando il ruolo dei filari arbustivo-arborei in un contesto dalla spiccata vocazione agricola: la Riserva Naturale della Marcigliana. Dalle foto aeree alle indagini sul campo, detti elementi sono stati individuati ed analizzati nel dettaglio al fine di procedere con delle successive valutazioni morfologiche e metriche. La dispersione delle ghiande di quercia, mediata dal piccolo topo del legno (Apodemus sylvaticus), è stato il focus della ricerca la cui idea alla base è piuttosto semplice: calcolare la connettività del paesaggio della Riserva, prima senza considerare gli elementi lineari e, dopo, includendoli nelle analisi.
Sulle tracce delle ghiande di quercia
Senza entrare nel merito della metodologia adottata, i risultati sono stati quelli ipotizzati: i filari alberati contribuiscono alla connettività del paesaggio, sia da un punto di vista puramente strutturale, connettendo fisicamente le foreste residue, che funzionale, facilitando il movimento dell’elusivo roditore. Come hanno reso noto nel 2003 Patrick A. Jansen, Ruben Smit e Jan den Ouden dell’Università di Wageningen, nei Paesi Bassi, il topolino del legno predilige zone ombrate e riparate per nascondere e cibarsi in tutta sicurezza del suo cibo preferito: le ghiande di quercia.
Guarda il video sul topolino selvatico (Apodemus sylvaticus)
Visto che in natura nulla avviene per caso, tra un sotterramento e l’altro, capita che qualche ghianda venga dimenticata e da lì a qualche anno origini una maestosa farnia, leccio o roverella che sia. Dato che gli elementi lineari creano numerosi microhabitat idonei all’Apodemus, lo studio ha dimostrato che la loro presenza risulta essenziale per la diffusione delle querce e la connettività generale della Riserva.
Filari da creare e riqualificare
Questo è solo un esempio, ma frenare la frammentazione degli habitat è ormai una prerogativa di qualsivoglia intervento di conservazione e le possibilità offerte dai filari alberati sono numerose. È possibile, infatti, crearne di nuovi o riqualificare quelli esistenti connettendo gli habitat e rendendoli funzionali senza togliere nulla all’agricoltura, minimizzando così, cosa da non poco conto, i conflitti con i proprietari terrieri.
Saperenetwork è...
- Laureato presso l'Università degli studi di Roma "La Sapienza" in Scienze Ambientali prima, e in Ecobiologia poi. Attualmente frequenta, presso la medesima università, il corso di Dottorato in Scienze Ecologiche. Divulgare, informare e sensibilizzare per creare consapevolezza ecologica: fermamente convinto che sia il modo migliore per intraprendere la via della sostenibilità. Per questo, e soprattutto per passione, inizia a collaborare con diverse testate giornalistiche del settore, senza rinunciare mai ai viaggi con lo zaino in spalla e alle escursioni tra mare e montagna
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