Un fotogramma del documentario Toxicily
Un fotogramma del documentario Toxicily (2023)

Toxicily, voci dal polo petrolchimico siracusano

Il documentario di François-Xavier Destors e Alfonso Pinto presentato al 27esimo Festival Cinemambiente, racconta un territorio devastato dall'industrializzazione attraverso le testimonianze dei suoi abitanti, nella morsa del ricatto propostogli da decenni: “Il cancro o la fame”
9 Giugno, 2024
2 minuti di lettura

Non è un reportage ma una vicenda intima quella che racconta Toxicily, il film di François-Xavier Destors e Alfonso Pinto (coproduzione Italia-Francia, 2023) sul petrolchimico di Augusta, Priolo e Melilli nel Siracusano, presentato al Ventisettesimo festival Cinemambiente di Torino. Uno spaccato di vita vissuta, a più sguardi e più voci, in uno dei territori d’Italia maggiormente contaminati dall’industria e inserito nell’elenco dei Siti di interesse nazionale da bonificare, a terra e in mare.

 

Il regista Alfonso Pinto durante la presentazione di Toxicity a Cinemambiente
Alfonso Pinto, geografo e regista palermitano, durante la presentazione di Toxicity a Cinemambiente

 

Racconto corale

Una domanda sempre solo sottintesa e i volti, le figure, i ricordi, le confessioni, i dubbi delle persone che hanno deciso di aprirsi di fronte all’obiettivo si alternano a lunghe inquadrature del paesaggio. Un’estensione ininterrotta di impianti, il cielo grigio, le torri, i fumi, le torce del flaring sempre accese, le luci nella notte, un mare spesso mosso, vento, ma anche la bellezza di una natura che resiste nonostante i veleni.

E, nonostante i veleni, la vita di tutti i giorni di chi, da sempre o quasi (perché i più anziani ricordano il prima) convive col mostro.

La spesa al mercato, la sdraio in spiaggia, la cura dell’orto, un caffè bevuto sul balcone di casa, un tuffo e una nuotata dagli scogli. C’è chi è adolescente e chi è andato in pensione, chi ha sostituito il padre all’impianto, chi ha soltanto un lavoro precario. Chi è malato e chi no. C’è il prete che aggiorna la lista dei decessi. Chi protesta e chi tace, rassegnazione, speranza, rabbia. Ognuno dice di sé, con parole che arrivano come pensieri.

Il ricatto del mostro

Realizzato a pochi anni dalla fine della seconda guerra mondiale (il primo insediamento industriale è del 1949), il complesso petrolchimico fu annunciato e accolto come una manna in una terra di povertà, dall’economia quasi inesistente. Diventò il petrolchimico più grande d’Europa, il primo porto per le petroliere che arrivavano dal canale di Suez. Decine di migliaia di posti di lavoro.

 

Guarda il trailer di Toxicily

 

E nonostante la chiusura di alcuni stabilimenti e la riconfigurazione di altri, continua a essere il più grande polo di raffinazione del greggio in Italia, con due raffinerie, tre impianti petrolchimici, una centrale elettrica, giganteschi pontili. Molti stabilimenti sono passati in mani straniere, ma questo il film non lo dice. Nell’area, per chi viene assunto è ancora una delle migliori garanzie di reddito, e questo, sì, ce lo raccontano. Magari con pudore, perché la posta in gioco è alta: “il cancro o la fame”.

Un tag, spruzzato su un muro nella notte, condensa il drammatico ricatto che sottostà al conflitto tra salute e lavoro, ambiente e lavoro.

Il più potente dei no

Oggi come allora. Il petrolchimico ha dato da mangiare e continua a farlo, in un territorio popolato da oltre centomila persone. Poco è cambiato per chi non può o non vuole lasciare gli affetti e la propria terra. La bonifica è ancora da venire. Chi ha beneficiato della ricchezza prodotta da questa industrializzazione? Chi ripagherà i danni inflitti alla terra? Ci sono i mandorli, ormai inselvatichiti ma ancora ricchi di frutti che viene voglia di mangiare, a ricordare l’antica vocazione del territorio, gli animali che pascolano nelle aree contaminate. Su ogni storia aleggia l’ombra del tumore. E risuona potente il no di un bambino, il più giovane dei protagonisti, che in gita scolastica dove lavora il suo papà proprio non vuole andare.

 

 

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