Tra quali popoli oppressi, uomini in miseria, ultimi tra gli ultimi, camminerebbe oggi il Cristo per denunciare ingiustizie e sopraffazione, portare speranza e nuovi valori? Quali banchi rovescerebbe per scacciare i mercanti del tempio? A chi avrebbe detto: «Seguimi»? Milo Rau non ha avuto dubbi. Il regista svizzero enfant prodige, lo scandaloso, provocatorio e premiatissimo creatore dell’Istituto internazionale di omicidio politico (Iipm) e direttore del teatro nazionale di Gent, è andato a Matera, nel paesaggio ancestrale e doloroso che già Pasolini e Gibson avevano eletto a simbolo della Passione e qui ha girato il suo Das Neue Evangelium, con un Cristo nero che “pesca” i suoi discepoli tra le baraccopoli poco lontane, dove vivono come animali i braccianti vittime del caporalato. Un Nuovo Vangelo girato nel 2019 per Matera Città europea della cultura, portato alle Giornate degli autori all’ultima Mostra del Cinema di Venezia e trasmesso recentemente in streaming in contemporanea mondiale per ribadire, nella seconda Pasqua sotto il segno della pandemia, che «Sarà ancora una volta la società globalizzata del Sud a pagare il prezzo più alto della crisi e a cercare rifugio in altre terre. Disoccupati e migranti verranno dall’Africa e dall’Est sempre più numerosi e a noi non resta che rifondare l’intero sistema».
Guarda il trailer di Das Neue Evangelium di Milo Rau”
Tra baracche, rifugiati e disoccupati. La Via Crucis, oggi
E se oggi è la parabola dei rifugiati e dei disoccupati ad incarnare la via crucis di una parte del mondo, negli anni scorsi sono stati il processo farsa di Last Days of the Ceausescu,Das Kongo Tribunal sulla guerra civile in Congo, Five Easy Pieces sul serial killer pedofilo di Marcinelle e l’Orestea a Mosul, il sale che Rau ha versato nella piaga delle nostre rimozioni.Ancora prima dei titoli di testa, s’intrecciano i molti piani della poetica di questo film. In apertura i volti in bianco e nero del Vangelo secondo Matteo del 1964, i visi segnati davanti alla croce del presente che il pathos della Marcia Funebre di Mozart rende ancora più intensi e il pellegrinaggio tra le baracche di Yvan Sagnet, il nero Messia attivista camerunense, nominato Cavaliere della Repubblica da Mattarella nel 2017 e fondatore di NoCap, l’associazione internazionale contro il caporalato e lo sfruttamento del lavoro.
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Narrazione e azione politica
Per raccontare la realtà complessa, Rau esibisce anche stavolta una tessitura narrativa altrettanto stratificata che intreccia cinema e teatro, documentario e recitazione, colte citazioni cinematografiche, pittoriche e musicali (Mozart, Bach, Wagner e Capossela che è anche la voce narrante) e denuncia (dal leader dell’emancipazione panafricana Thomas Sankara all’organizzatore di lotte Gianni Fabbris), la ricostruzione recitata del “reenactment” con l’azione politica. E ogni scena smaschera e palesa anche la sua realizzazione, in accordo al punto 2 del suo Decalogo estetico, là dove attesta che “il teatro è produzione, processo e non prodotto”. Nell’opera finita vediamo dunque i ciak, i provini, la costruzione e le interferenze in una sovrapproduzione di senso in cui i volti dei braccianti si mescolano agli abitanti di Matera, il sindaco della città impersona Cireneo e una prostituta di colore la più vera delle Maddalene, gli attori professionisti di ieri doppiano quelli di oggi: Marcello Fonte di Dogman con Enrique Irazoqui che fu Gesù nel Vangelo pasoliniano o Maia Morgenstern che nella Passione di Cristo di Mel Gibson interpretò Maria. E il senso della compiutezza estetica, formalmente ineccepibile man mano che i piani della diegesi confluiscono verso la crocifissione, lascia il passo al disagio emotivo, all’instabilità, alla protesta. La pluralità di linguaggi destabilizza la fruizione passiva e accende – vivaddio! – il pensiero interrogante.
Rivolte di dignità
Se dunque oggi gli apostoli sono gli schiavi della nostra spesa sempre più a buon mercato, non poteva che essere Sagnet il primo Cristo nero della storia del cinema europeo. Prima della laurea in ingegneria, è stato lui stesso bracciante nelle piantagioni di pomodori e nel 2011 a capo della ribellione contro lo sfruttamento dei lavoratori rurali nel sud Italia, voce di corpi invisibili e parole mute. Sarà lui a guidarci nell’inferno della Felandina e dei ghetti dove rifugiati e braccianti vivono in condizioni disumane: aggirandosi per le baracche alla ricerca dei “suoi” discepoli, Sagnet ha trovato gli attori neri, musulmani e disperati del film ma insieme a loro ha dato vita alla realtà aumentata di una ribellione vera, la Rivolta della Dignità. Così il film è tracimato nella vita, generando una campagna politica internazionale tuttora in corso, una rete per raccogliere fondi per le iniziative coinvolte nel film e le prime Case della Dignità, sostenute anche dalla Chiesa cattolica, dove abitano una trentina di migranti finalmente regolari. Senza contare i prodotti NoCap che si stanno diffondendo nei supermercati di tutta Europa: anche nel nostro Sud c’è bisogno del commercio equo e solidale. Perché i braccianti che rovesciano e calpestano le bottiglie di pomodori raccolti con il loro sangue, no, non li vorremmo più vedere.
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