Parità di genere, contrasto ai femminicidi e alla violenza di genere, ma anche salario minimo e opposizione all’autonomia differenziata. Queste le rivendicazioni dello sciopero generale del settore pubblico e privato di oggi, indetto dai sindacati di base e da alcune componenti dei confederali. Un 8 marzo diverso, quello di oggi, senza dubbio più consapevole dopo lo scorso mese di novembre in cui la morte di Giulia Cecchettin ha sconvolto il paese e reso evidente una realtà compresa e nominata fino ad allora solo dalle attiviste: quella del patriarcato.
Dopo quel momento di lucidità e condivisione, il quotidiano ha continuato a portarci violenze e femminicidi, numeri drammatici di donne molestate e discriminate sul lavoro, come nell’ultima survey realizzata da Fondazione Libellula, e persino un Consiglio europeo che svuota di elementi importantissimi la direttiva contro la violenza di genere. Decisione contro cui l’Associazione Differenza Donna ha organizzato una manifestazione a Bruxelles proprio in queste ore.
Il corteo
In questi anni è stato travolgente il lavoro di comunicazione e sensibilizzazione del popolo fucsia di Non Una di Meno, e anche oggi sarà centrale la manifestazione organizzata a Roma che partirà alle 10 da Piazzale la Malfa (Circo Massimo) per arrivare intorno alle 14 a Trastevere, in Largo Bernardino da Feltre. Per Non Una Di Meno scioperare l’8 marzo significa:
«trasformare la potenza del 25 Novembre in blocco della produzione e della riproduzione, attraversando i luoghi dove la violenza patriarcale si esercita ogni giorno: nelle case e sui posti di lavoro, nelle scuole e nelle università, nei supermercati e nei luoghi di consumo, nelle strade e nelle piazze,in ogni ambito della società. »
Lo chiamano sciopero Transfemminista, perché include lavoratrici, lavoratorə e lavoratori del sociale e dei servizi essenziali, donne, persone LGBTQ+, persone migranti, persone con disabilità, e moltə altrə ancora, in un corteo fortemente inclusivo, attento nell’organizzazione e nei servizi a garantire spazi e cura di chi partecipa, come già fu il corteo del 25 novembre. Uno sciopero contro i salari bassissimi e contro il precariato aumentato dal “pacchetto lavoro”, contro l’assenza di riconoscimento del lavoro di cura e contro i tagli allo stato sociale. Ma anche contro le politiche di guerra (espressione massima della violenza patriarcale) oggi ancora più presenti, e per il cessate il fuoco nella Striscia di Gaza.