Vorrei, a 50 e a 30 anni di distanza, testimoniare due eventi che sono la storia di un ambientalismo e di un ecologismo di cui si sono perse, a mio avviso, le tracce. Senza presunzione ma con grande umiltà partirei dal primo anniversario caduto proprio lo scorso giugno. È il 1972. L’Onu convoca a Stoccolma la prima conferenza su Ambiente e Sviluppo. Per avere chiaro il momento storico la popolazione mondiale è arrivata a 3 miliardi e mezzo. C’è la guerra in Vietnam e alla fine di quell’anno si scateneranno i bombardamenti massicci sul Nord di quel paese del Sudest asiatico, operazione definita dall’allora Presidente Richard Nixon “Christmas Bombing”.
Guarda il video sulla conferenza Onu di Stoccolma
Lavoravo come inviato da New York per Il Resto del Carlino di Bologna e La Nazione di Firenze. Da pochi anni giornalista professionista avevo avuto una possibilità per me importante: New York ma con lo stesso stipendio italiano e l’incarico sarebbe stato di un anno, eventualmente rinnovabile. Altri tempi, millenni fa. L’Onu, tanto per capire il momento, aveva organizzato voli speciali dagli Usa per i giornalisti, anche stranieri, che volessero partecipare alla conferenza. I giornali per cui lavoravo non mi autorizzarono ad andare, con mio disappunto. Seguii l’evento grazie ai media americani e così seppi che la parola “sostenibilità” era stata pronunciata più volte dagli studiosi presenti al convegno tra cui Lester Brown, Darrell Posey e Jared Diamond. Si accennò persino ai problemi climatici e fu deciso tra l’altro di aprire a Nairobi, in Kenya, l’Unep, il Programma dell’Onu sull’Ambiente, struttura che ancora funziona e di cui non si parla mai o quasi anche se sul sito è consultabile tutto quello che fa e produce come ricerche, informazioni, dati e papers in generale.
Inizia un lungo periodo in cui i media del mondo scoprono l’ecologia. Partono inchieste a tappeto sullo stato del pianeta Terra. Da qui in poi, per 16 anni, si scriverà e si parlerà molto di quello che ci aspetta in futuro. Si arriva così alla fine del 1988 quando il settimanale statunitense Time invece di dedicare la copertina di Natale all’uomo dell’anno, sbatte in prima pagina “La foresta amazzonica che brucia”: è il lancio mondiale del polmone verde del mondo.
Ed è anche l’introduzione alla seconda conferenza dell’Onu su Ambiente e Sviluppo che si apre nell’estate del 1992 a Rio de Janeiro: un clamore impensabile allora accompagna l’evento che cade nel Cinquecentenario del viaggio di Cristoforo Colombo alle Indie, da tutti, tranne che dagli indios che l’abitano ancora, sintetizzato come scoperta dell’America. Il Brasile, appena uscito da una feroce dittatura militare, ha il dito puntato contro per la distruzione di parte della foresta amazzonica. Vengono forniti dati mai prima rivelati delle distruzioni delle foreste in Africa, Siberia, Sudest Asiatico, Canada, Usa, Australia. Quattro anni prima era stata decisa l’istituzione dell’Ipcc, il Panel dell’ONU sui cambiamenti climatici con sede a Ginevra. I climatologi venivano investiti di un compito importantissimo: capire cosa stia succedendo nella nostra atmosfera a causa dell’aumento esponenziale delle emissioni di Co2, misurate in Ppm, parti per milione.
La popolazione mondiale intanto superava i 5 miliardi e 400 milioni.
Allora lavoravo per il settimanale Panorama, ancora dell’editrice Mondadori e fui mandato a Rio. Era il mio quarto viaggio in Amazzonia. L’anno dopo, nel 1993, pubblicai I gironi infernali dell’Amazzonia un breve saggio che fu incluso come uno dei testi per l’esame Religioni dei popoli primitivi alla facoltà di Lettere dell’università La Sapienza di Roma.
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Cinquanta e trenta anni fa. Di volta in volta, di conferenze delle parti (Cop) in conferenze delle parti, dopo risoluzioni e buoni propositi, da Kyoto a Parigi, e tutti disattesi, ci ritroviamo oggi a parlare di poco o niente. Ci stiamo avvicinando all’impensabile traguardo di 8 miliardi della popolazione di Homo sapiens sapiens. Pensate bene: il demografo americano Paul Ehlrich aveva previsto 30 anni fa che, intorno al 2020 avremmo superato la soglia dei 7 miliardi. Allora fu insultato e preso per pazzo. I grandi politici del mondo si scagliarono contro di lui (che aveva sbagliato in difetto la previsione). Tutti in coro a dire che la popolazione stava diminuendo e che non c’erano pericoli di disastri.
Il finale della storia ci trova ora invischiati prima in una pandemia che aveva messo molta paura. «Non sarà più nulla come prima» e «Bisogna salvare il Pianeta». Così si era arrivati a formulare cifre da capogiro: riduzione delle emissioni di Co2 del 60% entro il 2030 in Usa (Joe Biden) e del 55% (Ursula von den Lynen) in Europa. Poi è arrivato il giorno della folle invasione dell’Ucraina da parte di Putin e della sua armata russa. Ora accantoniamo tutti i buoni propositi. Via libera a carbone, qualsiasi tipo di gas, gasolio e greggio. E forse uno spiraglio al nucleare.
Guerra
Resto immobile a guardare
dentro viscere e nervi e sangue e vene
rotte dall’urlo delle bombe.
Resto immobile perché non so cosa dire
lontano dal fumo acre
e dai morti innocenti.
Com’è facile parlare tra noi
e disquisire sulle ragioni e i torti
sui buoni e i cattivi che appaiono come fantasmi
e si muovono in luoghi di cui non riusciamo a pronunciare
neppure il nome.
Eppure sono lì poco più a nord
a portata di cannonate oscene.
Ambiente
Mi lascia atterrito il rumore di fondo delle parole
di un neo ambientalismo strapazzato
come fosse una frittata
venuta male.
Si pontifica senza conoscere cosa accade da 50 anni in qua.
Lasciamo tutto al caso e sballiamo numeri come vengono
per smentirli o ignorarli
the day after.
Mi affligge il cuore ascoltare attestati di sostenibilità
senza senso
da parte di cloni di personaggi che esaltano
“buiodiversità” orecchiata in giro.
Per fortuna disegno
ancora e ancora e ancora.