«Aver vissuto una cosa, qualsiasi cosa, conferisce il diritto inalienabile di scriverla. Non ci sono verità inferiori».
Così scrive Annie Ernaux ne “L’evento” (L’Orma 2019), palesando la necessità di scavare nel passato per dare un senso alle cose, un volto alle ombre. Diciassettesimo premio Nobel donna da oltre un secolo, l’autrice francese conserva le tracce di un tempo antico, di un’attitudine alla libertà che passa per la scrittura e la militanza, per la cura dell’ascolto come atto intimo e viscerale, che procede dal sé per allargarsi al mondo, nell’intreccio fra Storia e Storie.
Battaglie femministe
Nata a Duchesne (Lillebonne) nel 1940, folgorata negli anni universitari da “Il secondo sesso” di Simone de Beauvoir, ha partecipato a tutte le battaglie femministe registrando nella scrittura i suoi frammenti di memoria, partizioni di un tempo andato che fotografano il rapporto tra i sessi, la ridefinizione dei ruoli. Tutto, nella scrittura di Annie Ernaux, è sorretto da un substrato storico che interseca il personale per farsi racconto collettivo, come in quel libro dolente e cruciale che è “Gli anni” (L’Orma 2015), catalogo pubblico e privato di ciò che è successo tra gli anni Quaranta e i primi Duemila.
Le prix Nobel de littérature 2022 attribué à la romancière française Annie Ernaux https://t.co/UwT7JYmMPE
— Le Monde (@lemondefr) October 6, 2022
In Francia, nel mondo, nella vita di Ernaux. La potenza della sua autobiografia risiede nel farsi «essere letterario», soggetto e oggetto di una rimemorazione densa, che scioglie il grumo delle emozioni a cui non è possibile dare un nome, che si affastellano nella mente.
Riflettere per conoscere
L’elemento personale, costantemente sottoposto alle regole via via imposte dal romanzo (sia esso di crescita, familiare, “ideologico”), appare sempre finalizzato alla riflessione, a un apparente scarico di coscienza che in realtà sottende un intento conoscitivo, la possibilità fornita da quanto è esistito prima di comprendere i cambiamenti della propria esistenza. Dall’esordio de “Gli armadi vuoti” (1974 ma pubblicato in Italia da Rizzoli nel 1996), Ernaux ha dedicato al recupero memoriale un’attenzione costante, coerente, senza mutare atteggiamento nei confronti di una realtà osservata mediante il filtro della sua vita, in un percorso che le non ha risparmiato inciampi, cadute ed esitazioni.
Oltre gli schemi sociali
Scavare, disseppellire, sono i verbi che più utilizza nel suo “Atelier noir” (Éditions des Busclats, 2011), compendio di riflessioni sulla scrittura redatto tra il 1987 e il 2007. Nata da una coppia di ex-contadini gestori di un bar-drogheria, poi studentessa universitaria a Rouen e Parigi, insegnante, madre e moglie stretta nell’orizzonte borghese, Ernaux rielabora il passato e gli schemi sociali a partire dagli anni Settanta, quelli della militanza femminista e del primo romanzo, dell’educazione sentimentale e del disamore familiare. Nei due romanzi “Il posto” (L’orma 2014) e “Gli anni” riconosce i riflessi di un’esistenza predefinita, di uno status dabbene che sottende frustrazioni, serenità posticce.
Negli anni dell’utopia, dei liberi costumi, l’autrice immagina un destino diverso, lo afferra.
E la successiva sublimazione è un referto onesto e feroce, che squarcia tabù come la tematizzazione dell’aborto clandestino, denuncia di un fallimento sociale che diviene, ancora una volta, riflessione sul sé e sul mondo.
Antropologia e scrittura
Il percorso di una vita registrato in equilibrio tra dimensione individuale e collettiva, consente ad Annie Ernaux di fondere l’indagine antropologica con la necessità della scrittura, costruendo con il lettore un ponte di “detti” e “non detti”, una memoria condivisa che si nutre di tanti pezzi. Ricorre alla prima persona Ernaux, riordinando dati e percezioni, ma è come se fotografasse le cose da lontano, senza una sbavatura emotiva, a dimostrare la compattezza della sua analisi, un’urgenza d’esposizione che non è mai rapsodia. Così anche gli altri scritti pubblicati da L’orma nelle belle traduzioni di Lorenzo Flabbi (“L’altra figlia”, 2016, sulla sorella perduta, o ancora “Memoria di ragazza”, 2017) ci restituiscono una scrittrice che ha demitizzato il passato, lasciando “figliare” le parole nella testa di chi legge.
«E così un giorno saremo nei ricordi dei figli insieme a nipoti e a persone che non sono ancora nate. Come il desiderio sessuale la memoria non si ferma mai. Appaia i morti ai vivi, gli esseri reali a quelli immaginari, il sogno alla storia».