Quel massiccio dolomitico così imponente e maestoso l’avevano scoperto per caso. Intendiamoci il gruppo del Sassolungo, questo il nome, era lì da 250 milioni di anni ma le ragazze e i ragazzi che se ne erano innamorati avevano pensato subito che quella sarebbe stata la loro montagna. Lo videro per la prima volta salendo l’altipiano del Rasciesa con la lunga e lenta seggiovia del tempo. E il tempo era quello della fine degli anni Cinquanta. Allora chi poteva andava in villeggiatura ad agosto in montagna. E negli alberghi si formavano le comitive: tutti insieme dai 13 ai 18 anni. Così salendo, ognuno seduto su una seggiolina di ferro dondolante, il Sassolungo era apparso di colpo a destra, emergendo da una foresta di abeti rossi.
Un sentiero per arrivare
Arrivati al traguardo del Rasciesa, davanti al gruppo delle Odle, tra le valli ladine di Gardena e Badia, la comitiva non smise di parlare e commentare. Tutti volevano sapere come vederlo da vicino il Sassolungo e come salire da qualche punto per essere “dentro” alla montagna. I più grandi si documentarono e organizzarono una riunione, spiegando che la parte più alta del massiccio superava i 3 mila metri e che il Sassopiatto, quello che si ergeva tutto a destra, lo si poteva salire con un sentiero fino alla cima. Ma in mezzo, tra il Sassolungo e le Cinque Dita, c’era la Forcella: «A 2685 metri sul livello del mare», disse Piero un ragazzone alto e biondo di Cesena. E aggiunse: «C’è un sentiero per arrivarci. Ripido e in mezzo a una colata di sassi senza fine». E i più grandi si accordarono per andare lassù.
Partenza da Ortisei in Val Gardena, corriera fino al Passo Sella, 2180 metri slm, e poi 2 ore di salita. La prima volta ci provarono in 3, con scarponi, giacche a vento e maglione nella zaino, borraccia d’acqua e panino. Alla Forcella c’era un rifugio privato, costruito dopo la guerra e intitolato a Toni Demetz. Il padre, la guida alpina Giovanni l’aveva dedicato al figlio ucciso proprio lassù da un fulmine.
La Montagna Incantata
La salita fu dura. Si scivolava e il sentiero era tutto a tornanti stretti, ripidissimo. Ma la fatica fu ripagata dal paesaggio che si apriva sul Monte Pana e sull’Alpe di Siusi, l’altipiano più grande d’Europa, più di 50 chilometri quadrati: un mare di prati da pascolo punteggiati da boschi di abeti rossi e pini cembri. Da quella volta in poi il Sassolungo fu al centro della storia: La Montagna Incantata, ricordando un famoso libro di Thomas Mann. Ci furono più risalite alla Forcella anche con Luca, il più piccolo della comitiva. E poi sul Sassopiatto a 2956 metri di altezza. Anche con il tempo improvvisamente brutto e, una volta, con l’inizio di una tormenta di neve, di quelle estive. C’è chi il Sassolungo lo disegnò più volte fino ad imparare a memoria come fosse fatto.
La bidonvia
La storia ricomicia a metà anni Settanta quando si scopre che c’è una grande novità: una bidonvia porta alla Forcella. Niente più fatica e allora chi può torna al Passo Sella per prendere quella piccola cabina a due posti in piedi e risale al rifugio Demetz che nel frattempo è un piccolo albergo con 20 posti letto e una ottima cucina. Purtroppo la storia potrebbe avere un finale non previsto e inaccettabile. Esiste infatti un progetto che vorrebbe raddoppiare l’impianto per risalire alla Forcella del Sassolungo. Per far salire in cima a un’angusta e bellissima strettoia fino a 4 mila persone al giorno. Raddoppiare l’impianto e quindi allargare il punto di arrivo e quindi tagliare una fetta di montagna, una fetta di dolomite che racchiude i fossili di un mondo marino che ha, come è scritto all’inizio della storia, 250 milioni di anni.
Raddoppiare l’impianto? Una petizione per dire no
Ma come è possibile? Il 26 giugno del 2009 l’Unesco decretò le Dolomiti Patrimonio dell’Umanità e le ascrisse a una delle poche eccellenze sia naturali che artistiche del Pianeta che abitiamo. E allora? Un raddoppio di un impianto che, per fortuna, non intacca se non minimamente sull’ambiente meraviglioso che è intorno? Sostenibilità, rispetto per la Natura maiuscola? Sono domande che non hanno una risposta decente. Per questo è nata una forte opposizione di tutte le associazioni che difendono il bene comune con in testa quelle “montanare”: dal Cai, da Mountain Wilderness, da Sos Dolomites, con tutte le guide alpine di tutte le valli ladine e sudtirolesi. Nelle settimane scorse una petizione ha raggiunto in pochi giorni 40 mila firme per dire un NO secco a un’ipotesi a dir poco scriteriata che non ha giustificazioni di sorta perché migliaia di persone al giorno non possono convivere in una realtà di alta montagna come quella della Forcella del Sassolungo. Così tra quelle 40 mila firme ci sono anche quelle dei pochi rimasti della comitiva che alla fine degli anni Cinquanta scoprì per la prima volta il gruppo del Sassolungo, con le sue cime e le sue guglie incantate.