Una goccia sta per cadere da un ramo. Foto di Federico Troiani
Foto di Federico Troiani

La mia ombra mi illumina

Un dialogo immaginario fra una terapeuta e una donna che porta dentro di sé le ferite di un trauma che ha travolto un'intera comunità. E che cerca nella natura le ragioni per rigenerarsi
25 Gennaio, 2024
2 minuti di lettura

Si ricomincia a lavorare. Cammino lentamente nella stanza dove verrà la prima paziente. Ho con me una sensazione che oscilla tra la sicurezza un po’annoiata e la curiosità nel rivedere persone che vengono e chissà cosa portano di nuovo. Ho ancora qualche minuto di attesa e cerco di prendermi uno spazio, mi appoggio alla poltrona e respiro.

La prima paziente è la signora Boccafornace, che entra anticipandosi con una nuvola di profumo.

Ci salutiamo e il suo sorriso mi comunica simpatia.

Si siede davanti a me e dopo alcune frasi formali mi racconta la sua estate.

«Non crederà a cosa mi è successo»

«Cosa?»

«A un certo punto ho perso la mia ombra. Se n’è andata così, senza nessun rumore. Non avevo mai dato importanza alla mia ombra. Era sempre lì, non mi intralciava in nessuna decisione, in ogni luogo dove andavo era lì, vicino»

«E l’hai persa? Come?»

«Mah, non so. All’inizio neanche io me ne ero accorta. Ero così presa di me, di ciò che si vede di me, di fare bella figura con gli altri. Con il tempo ho iniziato a sentire una mancanza: quando camminavo non la vedevo più. Vedere la mia ombra era sentire il tempo: l’ombra diventava piccolissima all’ora di pranzo e si allungava quando la giornata stava finendo»

«Che cos’altro?»

«Mah, a pensarci bene mi è venuta a mancare tutta quella sfera di pensiero che potrei definire nostalgia o tenerezza. Sentimenti vicino al mio cuore, vicini a ciò che non si vede, forse poco ricercati ma che mi nutrono. Mi aiutano a mettermi in contatto con ricordi della mia infanzia, alle dolci colline marchigiane, ai sapori, agli odori … Per me era scontato che la mia ombra fosse lì, anzi avevo verso di lei una relazione di sufficienza. Quasi come dire ci sei perché io esisto. Senza di lei era diventato tutto così piatto: non c’era più lo spessore, la tridimensionalità. Il mio viso era liscio e quasi non mi riconoscevo più. In quel momento ho capito di aver bisogno delle mie rughe. Più mi domandavo “perché se ne è andata? Dove sarà ora?” e meno riuscivo a dormire a mangiare. Ormai mi stavo rassegnando a vivere senza di lei, anche se ci speravo sempre. Un giorno, camminando in un parco, sono inciampata e sono caduta. Non so per quanto tempo sono stata ferma, forse poco, forse tanto ma, mentre ero ancora per terra ho visto le ombre degli alberi. L’autunno si stava avvicinando e le foglie avevano colori diversi: verdi, arancioni, rosso ruggine. Chiari vicino al sole e più scuri quelli all’ombra. Tutto ai miei occhi stava riacquistando un aspetto diverso: intorno a me c’erano profondità, volume. C’erano gli abeti, i pioppi, gli olmi, le imponenti querce e i nuovi aceri appena piantumati. In quel momento un leggero vento faceva muovere le foglie, alcune si staccavano e ruotavano fino a terra. Era bello osservare la vita silenziosa degli alberi».

«Quindi in quella situazione di debolezza è riuscita vedere le cose in modo diverso».

«Eh, sì. Ho notato chiaramente che, quando viene rispettata e valorizzata, la natura non chiede il nostro intervento e riesce a darci delle risposte semplici ed efficaci»

«E questo vale anche per noi: è importante ascoltarci e rispettarci»

Mi sono complimentata con la signora per il percorso che sta svolgendo. Ci siamo salutate con affetto e l’ho osservata uscire per le scale. Ho pensato a quella donna caduta a terra in quel boschetto delle Marche, l’ho immaginata rialzarsi con fatica e rimettersi in cammino. Il sole che tramonta, le ombre che si allungano, la signora Boccafornace che torna a casa sentendosi abbracciata dalla sua ombra. La ghiaia della strada, un vento leggero che le accarezza il viso, il fumo di un comignolo in lontananza e una pace mai provata nel cuore. Ero sola nella mai stanza ma mi sentivo circondata da immagini della mia adolescenza marchigiana. Vecchie cartoline che cadono dal muro come le foglie d’autunno.

Leggi anche >  Insieme si torna a sognare. Un racconto ispirato dal trauma delle comunità marchigiane colpite dal sisma
Mielizia
Mielizia
Resto sfuso

Agenda Verde

Librigreen

Il groviglio verde

Funghi preistorici, alberi, mangrovie. Dentro il "groviglio verde" con Daniele Zagaria

Quanti di noi hanno considerato i boschi, le foreste ma anche i funghi e le piante come un unico sistema “aggrovigliato”? In pochi, certamente. Invece

no title has been provided for this book

Evoluzione, in viaggio nello spazio, nel tempo e nelle specie per evitare il "Don't Look Up"

Ci sono i procarioti e gli eucarioti, simili a batteri, per miliardi di anni  unici abitanti della Terra, i giardini ediacariani, che alla fine dell’e

no title has been provided for this book

Il Rigiocattolo, una eco-fiaba su riparazione e riuso

Perché è comune trovare chi ripara scarpe, automobili o computer, ma così raro trovare qualcuno che si occupi di aggiustare un giocattolo rotto? Eppur

Storia precedente

La soluzione è il problema (se mai pensaste che l’uomo è un essere razionale)

Prossima storia

Parigi, il cibo sostenibile e la Gioconda

Leggi anche...