“Nessuno rideva, nessuno cantava più, le piazze erano deserte e nessun bambino ormai giocava o correva per le strade. Il Pifferaio se l’era portati via tutti”
“Il pifferaio magico”, fratelli Grimm
Ci siamo accorti che i bambini sono scomparsi? Certo, è difficile che li si veda in giro a piedi, stanno sempre in macchina e da anni ormai non giocano più né in strada né in cortile, là perché sono in pericolo, qua perché disturbano. Irreggimentati come soldatini, hanno ritmi da manager e impegni scanditi al secondo: scuola, palestre, inglese, strumento musicale, feste…
Ora, invece, sono proprio spariti. Chi non è genitore di figli che vanno (anzi, andavano) a scuola, ci ha fatto caso?
Adesso che siamo a casa, costretti a rimpicciolire il mondo – altro che “Cielo in una stanza”, il mondo intero ci deve entrare! – dobbiamo anche convincere i nostri bambini che è giusto così. La verità è che in questa emergenza Covid-19 i bambini sono stati rimossi. I decreti e le cronache ci parlano degli anziani, dei medici e di quanti operano nelle strutture sanitarie, di chi deve ancora lavorare e non si sente protetto, persino di quanto si può allontanare da casa il proprio cane.
Loro, invece, sono stati i primi ad essere interessati dalle misure di prevenzione con la chiusura delle scuole, additati come gli untori perfetti (non si ammalano, sono promiscui, ti abbracciano e ti baciano senza tenere la debita distanza), li abbiamo confinati in casa e poi… Pof! Svaniti. Al supermercato non possiamo comprare neppure quaderni, colle e matite, in quanto oggetti non necessari.
Il tema è ormai caldo. Se ne occupano psicologi e sociologi, da Anna Oliverio Ferraris a Chiara Saraceno, associazioni e gruppi di genitori che al governo e ai propri sindaci, cominciando dalle petizioni inviate a Sala e Nardella, chiedono di consentire “un’ora d’aria” ai bambini e agli adolescenti (altro argomento scottante). Ma davvero pensiamo di averli “sistemati” una volta per tutte con la didattica on-line?
«Bisognerebbe inventare un tempo specifico per l’apprendimento. Il “presente di incarnazione”, per esempio. Sono qui, in questa classe, e, finalmente, capisco. Ci siamo! Il mio cervello si propaga nel mio corpo: “si incarna”. Quando non succede, quando non capisco niente, mi disintegro in questo tempo che non passa, mi riduco in polvere e un soffio basta a disperdermi».
Questo è il “Diario di scuola” dell’ex “somaro” Daniel Pennac che poi, da professore, avrà una sola certezza: «La piena presenza dei miei allievi dipende strettamente dalla mia, dalla mia presenza fisica, intellettuale e mentale». La consapevolezza che questi tempi c’impongono vuol dire tenere a mente che tutti i bambini e i ragazzi avranno bisogno di attenzione, cure e tempo per compensare le privazioni di oggi. Senza dimenticare i 450mila bambini e adolescenti che in Italia sono in carico ai servizi sociali, fra cui 91mila a causa di maltrattamenti che subiscono in casa, che forse alla scuola virtuale non hanno alcun accesso. Si occupa di loro la petizione appena lanciata e sottoscritta da numerosi parlamentari e associazioni ed enti istituzionali.
E neppure quel milione e passa di alunni che hanno difficoltà di apprendimento, deficit di attenzione, disabilità fisiche e svantaggi sociali. Insomma, la carica dei Bes (studenti con Bisogni educativi speciali) per i quali la didattica virtuale è un’esperienza di apprendimento esponenzialmente frustrante, che li priva dell’ancoraggio fisico dell’insegnante, del tempo supplementare e della personalizzazione, della socialità e del contesto organizzato e protetto, della possibilità di incarnare la conoscenza.
Presenza, tempo, protezione, socialità: stai a vedere che adesso, da immobili e isolati, scopriamo di essere tutti Bes. Scopriamo di avere una montagna di bisogni, ciascuno i suoi, dalle sigarette alla corsa, visibili e prepotenti. Capiamo che ci dobbiamo ri-educare, “traendo fuori” da noi stessi altre abilità, nuove competenze. Intuiamo, finalmente, di essere unici e irrimediabilmente speciali, dal latino “specio”, colui che guarda verso una mèta.
Guarda la scena finale del film di François Truffaut “Gli anni in tasca”
Già, ma come ci “incarniamo”? Attraverso l’esperienza, ovvero, in primis, il movimento: movimento fisico nei primi anni che pian piano si coordina e diventa il movimento dei pensieri, della lettura e della scrittura, del sommare e del sottrarre quando arriva il momento dell’apprendimento esplicito. Insomma, ci muoviamo sempre e quasi sempre senza coscienza alcuna.
«Se proviamo a eseguire un’azione con consapevolezza, cioè a seguirla nei suoi dettagli, scopriamo immediatamente che persino la più semplice e la più comune delle azioni è un mistero», scrive Moshe Feldenkrais in “Awareness through movement”.
E come possiamo creare movimento mentre siamo in casa? Il suggerimento di oggi si chiama “buttare”. Marie Kondo con il suo best-seller “Konmari” (pubblicato in Italia con il titolo “Il magico potere del riordino”, Antonio Vallardi Editore, 2014) ha costruito un impero, noi possiamo farne un processo di benessere per noi e per i nostri bambini. Tra l’altro siamo in primavera, per di più in Quaresima: è il tempo giusto per fare pulizia.
Buttare è molto impegnativo perché ci chiede di penetrare il mistero dell’agire e ci richiama ad un cosciente processo di scelta, di identità: «Questo è ancora parte di me e mi serve o ne posso fare a meno?» (lo stesso gesto, in fondo, del nostro sistema immunologico di fronte ad un agente estraneo). È un processo di secrezione, di elaborazione e di individualizzazione che attiviamo continuamente nella digestione ma anche nell’apprendimento (questo l’ho capito e lo faccio mio, quest’altro lo dimentico). Ci muove interiormente moltissimo ma dopo la fatica della scelta siamo più soddisfatti e più leggeri. Come quando espiriamo.
Approfittiamo di queste giornate per affrontare il mare di giocattoli, la montagna di vestiti e le pile di oggetti per fare ordine: i più piccoli metteranno i libri di fiabe con i libri di fiabe, le macchinine con le macchinine, le cose rosse con le cose rosse; i più grandi aiuteranno a fare scatoloni di quel che ormai appartiene al passato, a quando erano piccini, prendendo coscienza di un passaggio, di una crescita.
La casa sarà più libera e noi più centrati. Di questi tempi, non è poco.