Se in macchina siete di quelli che per girare devono sbirciare la mano con l’orologio ed è tutta la vita che destra e sinistra son peggio di Avalon, terre avvolte dalla nebbia, benvenuti nel vasto club di chi ha difficoltà di lateralizzazione. Certo, si può sopravvivere anche senza una chiara lateralità, ma avere occhio, orecchio, mano e piede dominanti non tutti dallo stesso lato è come stare sempre in un flipper, con la pallina che rimbalza di qua e di là tra gli arti e gli emisferi. E quando la pallina sono le cose da leggere o da scrivere giocare una buona partita diventa più difficile.
Sapendolo, possiamo osservare con quale mano i nostri bambini prendono lo spazzolino, con quale piede salgono le scale o a quale orecchio appoggiano la conchiglia per sentire il mare, aiutandoli molto prima della scuola con tanti gesti semplici ed efficaci come infilare le scarpette o il giacchettino cominciando sempre con il piede o il braccio destri, mettendo le posate a destra e così via. Perché destra? Perché nonostante il fascino che li circonda dopo millenni di ostracismo (i mancini sono più portati per la matematica, più intuivi, più geniali: guarda Leonardo!), i mancini puri sono in verità pochissimi e lo sono veramente quando tutto il lato sinistro è predominante.
Prima, fin verso il terzo, quarto anno di vita i bambini sono ambidestri e poi sta anche a noi sostenere una lateralità che è in fondo la conquista della propria centratura (non è male cominciare da piccoli, ché tutta la vita non basta…).
Immaginiamoci il bambino piccolo piccolo dentro una sfera, tipo le sfere di vetro con la neve: tutto è il suo mondo e tutto il suo mondo è lui.
Alcune forme di autismo possono leggersi proprio come l’impossibilità del bambino ad attuare una progressiva distanza dal mondo, una coincidenza con tutto quanto è fuori di sé così dolorosamente permanente da costringerlo ad una costante tregua emotiva, a rifugiarsi nella fortezza piena della loro ipersensitività.
Da quella sfera ognuno di noi deve piano piano arrivare alla croce della verticalità. Eccolo Leonardo che torna con il suo uomo di Vitruvio… Stiamo bene, il bambino in primis, quando sentiamo in noi la sintesi (il nostro corpo come uno) e l’analisi nel mondo vasto in cui c’è da distinguere la pluralità di oggetti, esperienze, volti, colori, forme, esseri senza perderci in niente fuori di noi. Questo è il cammino verso la baita del ben-essere. Piano piano, lentamente (altra parola magica di eco-pedagogia che il teorico della lumaca, Gianfranco Zavalloni, ha giustamente trasformato in una parola d’ordine) ogni bambino con il suo ritmo, con le sue fragilità e i suoi talenti, superate le tappe del camminare-parlare-pensare, si avventura lungo i tre assi spaziali che permetteranno il linguaggio, la letto-scrittura e, in ultima analisi, la libertà.
È un’esperienza da fare: portare attenzione al davanti e dietro, al sotto e al sopra e, infine, al destra e sinistra anche semplicemente percependosi mentre si cammina. Davanti abbiamo tutto: i sensi e lo sguardo, il petto, l’ombelico e dietro è come se fosse tutto spento. Cogliere il davanti e il dietro è la luce e il buio, il giorno e la notte, l’avanzare versus l’aver paura e molti bambini non vogliono camminare all’indietro.
Sopra abbiamo la testa e le braccia che si muovono in tutte le direzioni e verso l’alto e l’altro, prolungamenti del cuore. Sotto le gambe, a contatto con la terra: nel piano orizzontale possiamo penetrare nella polarità leggero/pesante e guardarci, osservare i nostri bambini.
Solo con la destra e la sinistra sperimentiamo una simmetria verticale, dalla fronte ai piedi, che è insieme differenza, e il celebre autoritratto di Dürer ce ne fa sperimentare la sottigliezza.
È questo lungo e lento inoltrarsi nel labirinto del corpo che conduce al linguaggio come espressione prima e superba della distanza, della lontananza tra la percezione dello schema corporeo conquistato e ciò che posso, finalmente, nominare perché altro da me. Ha cominciato Adamo e non abbiamo più smesso. «E l’uomo diede dei nomi a tutto il bestiame, agli uccelli del cielo e ad ogni animale dei campi» dice la Genesi ed è nella parola che nasciamo una seconda volta perché diventiamo coscienti del mondo che si risveglia intorno a noi grazie alla lingua, al miracolo del linguaggio.
Di più quando ascoltiamo qualcuno, la nostra laringe vibra esattamente come chi parla e l’euritmia è l’arte del movimento che Steiner ha lasciato al futuro per penetrare nella bellezza del linguaggio resa visibile. Si educa con i gesti, con i sentimenti, con i pensieri, con il dare limiti ma soprattutto con la lingua che, quando è diritta e non biforcuta, rivela i pensieri e l’anima di chi parla. È il linguaggio che ci rende pienamente umani e dunque liberi e la libertà non può che essere il fine primo e ultimo dell’educazione, di ogni educazione. Postilla per coloro che continuano a rovistare tra i robivecchi alla ricerca di una trovata per la scuola che verrà.