La grande sala dell’Accademia dei Lincei era piena per ascoltare Giorgio Parisi – forse era un seminario in vista della sua elezione a Presidente, avvenuta nel 2018 – su uno dei temi più a lui cari: i sistemi complessi, esemplificati sui “vetri di spin”, dove gli atomi non si posizionano in modo classico, come in un reticolo cristallino, ma generano strutture complicate nelle quali prevale la casualità.
Un elemento di fascino nella sua esposizione era quel modo piano, accompagnato da un sorriso velatamente autoironico, che aiutava a capire, o a convincersi di aver capito.
Certo, per lui, che tanti anni prima aveva trovato la soluzione d’equilibrio del modello dei “vetri di spin”, era possibile quel livello di sintesi. E l’efficacia dei suoi argomenti evocava nella mia mente le “catene di frustrazione” o le applicazioni alle reti neurali, tutta roba che avevo orecchiato per curiosità scientifica ma non erano mai state per me vero terreno di ricerca.
Guardandolo, mi sembrava poco cambiato da quel ragazzo dall’aria un po’ stralunata che una quarantina d’anni prima incontravo nell’atrio di “Fisica Vecchia” – l’Istituto “G. Marconi” dell’Università di Roma La Sapienza – o nel “corridoio dei teorici” all’ultimo piano dell’edificio. Girava spesso con alcuni suoi colleghi, tutti in odore di successo scientifico. Gli altri, di cui so che hanno inverato la “promessa”, li ho persi di vista, ma con Giorgio è rimasta una continuità anche per cose fatte insieme.
Pensiero oltre la soglia
Giorgio negli anni ’80 scrisse vari articoli per Quale Energia, la prima serie della rivista (1981– 1992) della quale ero direttore scientifico, ormai da quasi vent’anni rieditata per opera, e merito, di Gianni Silvestrini. Per illustrare la storia delle particelle elementari fino alla “cromodinamica quantistica”, il mondo dei quark e dei gluoni con i loro “colori”. O per presentare i supercalcolatori in formidabile sviluppo già a metà degli anni ’80. Per analizzare i rischi connessi all’ingegneria genetica o illustrare la cautela con cui esaminare gli esperimenti della neonata fusione fredda.
Nel suo articolo “Dosi e danno” – così lo titolò Fulvia Sebregondi, l’impagabile realizzatrice della rivista – denunciava l’erroneità del concetto di “soglia” nella valutazione dei rischi da agenti chimici o radiazioni ionizzanti:
«Un’idea superata che non scompare, anzi è presente in tutta la legislazione». A tutt’oggi, se non vado errato.
Era sul primo numero del 1988, e ancora era aperto lo scontro sul “limitato presidio nucleare”, il tentativo del Governo per ultimare la centrale nucleare di Montalto di Castro in barba al referendum di pochi mesi prima (novembre 1987), nel quale Parisi si era schierato per il no al nucleare. Non ancora con la risonanza che ebbe invece il suo “no”, ribadito nella campagna per il secondo referendum sul nucleare, quello del 2011, con un video su Youtube che circola ancora. Particolare non banale, il video fu girato quando gli era stata appena conferita la medaglia Planck per la Fisica, un premio “fratello” del Nobel.
Parecchi anni prima, ero in Parlamento ma cercavo strenuamente di mantenere un piede nel terreno della ricerca, avevo presentato un progetto insieme a una collega di Palermo. Non ambivamo a quelli che si chiamavano Prin e che richiedevano una “massa critica” di ricercatori: ognuno di noi due avrebbe concorso per un finanziamento di Ateneo, i “fondi del 60%”. Il comitato scientifico che approvò il fondo era presieduto da Giorgio Parisi.
Sensibilità ambientale e sociale
Quei pochi soldi furono l’avvio che portò, nel tempo e con gli stenti del successivo auto finanziamento, alla realizzazione di uno strumento d’elettronica avanzata, un captatore ionico, e poi di un analizzatore di parametri elettro-cutanei, che sono strumenti importanti per la mia attuale ricerca sul Bio-elettromagnetismo. Quando cercai di coinvolgere Giorgio in una battaglia contro la “doxa”, il mainstream “teorico” cui fanno riferimento l’Oms e l’Icnirp nel fissare i limiti di esposizione dei campi elettromagnetici, ricevetti un garbato rifiuto che, per la modestia con cui mi venne rivolto (“Non è il mio terreno di ricerca”, disse) mi ricordò quello analogo di Federico Caffè quando gli chiedemmo di scendere in campo nella battaglia “Economia vs Ecologia”.
Guarda la cerimonia in onore del professor Parisi alla Sapienza Università di Roma
La particolare sensibilità che Giorgio ha sempre mostrato rispetto ai grandi temi di impatto sociale e ambientale ha fatto di lui uno di quelli che, pur vivendo nel cuore della scienza, non la ritengono “neutra” o “al di sopra delle parti”. Da ultimo le dichiarazioni, da Nobel, sulle gravi preoccupazioni per i ritardi sul clima o le ulteriori potenzialità dell’energia solare. Così, quando nel 2013 gli proposi di presiedere la Commissione scientifica sul decommissioning, lui accettò perché a fronte della incompleta conoscenza dei rischi si sentiva impegnato a garantire informazione e sicurezza alle popolazioni rispetto a tutto il ciclo dell’energia nucleare. Una presidenza che abbandonò solo quando, nel 2018, ha assunto quella dell’Accademia dei Lincei.
Complimenti Giorgio, che gioia! Era ora che te lo riconoscessero, questo Nobel! A uno che le sue ricerche le ha svolte soprattutto nel nostro Paese.