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I giovani che hanno partecipato a Youth4climate si sono confrontati fra tavoli di lavoro e momenti in plenaria (Foto: Valeria Fieramonte)
I giovani che hanno partecipato a Youth4climate si sono confrontati fra tavoli di lavoro e momenti in plenaria. Qui l'intervento di un'ingegnera libanese (Foto: Valeria Fieramonte)

A Milano, fra i giovani della PreCop. Le voci della speranza

Tavoli di lavoro, sedute in plenaria. Tanti momenti di confronto fra gli under 29 provenienti da tutto il mondo per “Youth4Climate” su disuguaglianza, uscita dalle fonti fossili, green job e molto altro. Basterà per fermare il “blablabla”?
30 Settembre, 2021
3 minuti di lettura

C’eravamo illusi, forse, alla Cop21 di Parigi che qualcosa stesse per cambiare davvero. Poi sappiamo come è andata: negli Usa hanno eletto un presidente, Donald Trump, che si è addirittura chiamato fuori dagli accordi, in Francia sono arrivati i gilet gialli che hanno frustrato il tentativo di riforma energetica di Macron. Altrove si è proceduto a macchia di leopardo e in maniera spesso contraddittoria, fra le promesse della Cina, giusto un anno fa, di azzerare le emissioni entro il 2060 salvo accelerare sulle centrali a carbone durante la pandemia. E il Green Deal europeo che lancia impegni appena sufficienti, contro i quali remano peraltro i paesi dell’Est.

 

 

Sta di fatto che, una Cop dopo l’altra, siamo tornati a quel grande “blablabla” ribadito con efficacia da Greta Thunberg qui a Milano, durante il suo intervento alla conferenza “Youth4Climate” che ha coinvolto 400 Under 29 provenienti da tutti i continenti: a un mese dal vertice sul clima di Glasgow, la Cop26, si riscontra un aumento ancora più preoccupante della CO2, minimamente calmierato dal lockdown. 

Basti pensare che il 40% dei paesi non ha neppure risposto all’appello di Parigi perché si presentino i piani nazionali di mitigazione, nel tentativo di ridurre l’impatto delle attività produttive umane.

Eppure la vitalità di questa Cop dei giovani, nonostante la rappresentanza sia stata selezionata in larga parte sulla base delle capacità comunicative dei partecipanti, ci è sembrata reale. Anche con qualche sorpresa: la prima sera, ad esempio, una platea che dava l’idea di essere più asiatica o africana, peraltro con molte ragazze velate, ha richiesto a gran voce, durante la breve pausa concessa dagli organizzatori, alla “Zurawski band” di cantare il nostro “Bella ciao”.

 

 

La seconda invece, dopo la presentazione dei quattro documenti prodotti dai tavoli tematici, è stata segnata da un momento di sincera commozione: il minuto di silenzio per tutti gli attivisti assassinati durante la difesa dei loro territori.

«Somos la voz de los que no estan», diceva il cartello portato da un giovane che reggeva, con l’altra mano, un grande lenzuolo col disegno di un albero e molti nomi di martiri dell’ambiente.

A parlare dal palco proprio contro il genocidio e l’ecocidio degli indigeni, un giovane brasiliano della zona del Pantanal, il cui bel viso espressivo sembrava intagliato nel legno. Greta Thunberg, presente ad ascoltare la conclusione dei lavori, se ne è andata subito dopo con i suoi. Così minuta da sembrare un folletto, riesce con la sua sola presenza a magnetizzare chiunque. E a fare anche un po’ di tenerezza, ci perdonerete l’espressione, con il suo improvvisato servizio d’ordine di diciottenni, tra cui l’attivista irlandese Theo Cullen Mouze, che tentava come poteva di proteggerla dai curiosi.

 

 

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Un post condiviso da Sara Cognuck Gonzalez (@sara.cognuck)

 

Durante la sessione dedicata ai ministri dell’istruzione, presenti in remoto anche dal Buthan, dall’Ecuador, da Cipro, dall’Oman e dall’Uganda, ha mandato un saluto anche il Papa. Ha parlato in spagnolo con sottotitoli in inglese e dunque è stato quello più compreso, dato che purtroppo l’inglese con diverse inflessioni non è sempre decifrabile da tutti. Ha invocato come sempre una cultura della cura di umani, non umani e territorio, di condivisione delle responsabilità.

 

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Infine, i quattro tavoli tematici presentati da due ragazze (Marinel Ubaldo delle Filippine e una delegata irachena che non ha esplicitato il suo nome, per la verità come parecchi altri relatori) e due ragazzi (Martin Rabbia dall’Argentina ed Ernest Gibson, delle isole Fiji). Si sono rivelati tutti molto abili, persino diplomatici nei loro interventi. Hanno chiesto supporto finanziario e logistico per «trasformare le ambizioni climatiche in azioni concrete», alle istituzioni di accompagnare in modo «urgente e significativo» l’impegno dei giovani nei processi di decisione sui cambiamenti climatici, di rispettare e proteggere la natura e i gruppi più vulnerabili. E ancora, di favorire la transizione energetica e i green job, di creare un «climate finance system» trasparente e affidabile, con una regolamentazione robusta delle emissioni di carbonio.

 

Una giovane delegata irachena interviene alla Youth4climate di Milano (Foto: Valeria Fieramonte)
Una giovane delegata irachena interviene alla Youth4climate di Milano (Foto: Valeria Fieramonte)

 

La più esplicita ci è sembrata proprio la giovane irachena, con la richiesta di abolire rapidamente l’industria fossile, azzerare gli investimenti nel settore da parte delle banche, ostacolare le attività di lobbying del greggio, specialmente all’interno dei negoziati internazionali. Parole ancora più significative, visto che arrivano da un paese fra i maggiori esportatori di petrolio.

 

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E adesso vedremo, con la PreCop dei “grandi” che prende il via oggi sempre a Milano, quali saranno le risposte dei governi al documento che presenteranno i portavoce di “Youth4Climate”. Se sarà finalmente la volta buona, da qui a Glasgow, per scardinare il “blablabla”.

O se ancora una volta quella dei giovani non sarà una speranza tradita.

 

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