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La nuova Venere degli Stracci a Napoli

A Napoli rinasce la Venere degli stracci

Risorge dalle proprie ceneri come l’Araba Fenice l’opera di Michelangelo Pistoletto in piazza Municipio. Ci parla di rigenerazione, di consumismo, di impotenza di fronte all'inquinamento, e della nostra disattenzione verso ciò che abbiamo intorno

27 Marzo, 2024
4 minuti di lettura

La nuova Venere degli Stracci di Michelangelo Pistoletto è stata inaugurata il 6 marzo in piazza Municipio a Napoli. Dopo il rogo della versione precedente, a luglio dello scorso anno, il lavoro vuole essere un augurio di rigenerazione per l’intera città. La Venere degli Stacci è un’opera che ha nella sua espressione un messaggio di trasformazione dello scarto in arte:

rappresenta un invito a guardare oltre lo “straccio” per trovare in questo una nuova possibilità di vita e di bellezza.

Questo è anche il messaggio insito nell’Arte Povera, di cui il Pistoletto è uno dei principali esponenti. Il movimento, nato in Italia sul finire degli Anni Sessanta, riconosce, per la prima volta, valore artistico a materiali e oggetti altrimenti considerati lontani dal mondo dell’arte. Nella Venere del Pistoletto, che accosta neoclassicismo e rifiuti, ne troviamo un iconico esempio. L’inaugurazione, alla presenza del sindaco Gaetano Manfredi e dell’artista, ha puntato l’accento sul valore della rigenerazione, fisica ma anche sociale e individuale che l’opera vuole sottolineare.

 

Michelangelo Pistoletto con il sindaco Manfredi all’inaugurazione

Gli scarti della società

Nata nel 1967 la Venere degli Stracci, icona dell’Arte Povera, a ben guardare ha cavalcato i decenni e oggi forse è ancora più attuale del momento in cui fu creata. Il lavoro è ispirato alla Venere con la Mela dello scultore neoclassico danese Bertel Thorvaldsen, cui Pistoletto aggiunge il nostro contemporaneo, ossia una montagna di stracci. Così l’emblema classico della bellezza si va trasformando e invece di tenere una mela tra le mani, ricollegandosi al mito che vuole la dea Venere riconosciuta come la più bella, la divinità si trova davanti a un mucchio di abiti usati, scarti della società dei consumi. E se nel 1967 ancora non si parlava di fast fashion, oggi è inevitabile guardare la Venere degli Stacci e pensare alle montagne di abiti che si innalzano nelle grandi discariche a cielo aperto del nostro Pianeta e che ogni giorno bruciano inquinando suolo e aria.

Così, da dea della bellezza in grado di trasformare gli scarti in arte, come l’Arte Povera consigliava di fare, la Venere del Pistoletto sembra diventata una sorta di impotente osservatrice del disastro ambientale in cui ci troviamo coinvolti.

L’opera, come i migliori brani musicali, è stata più volte reinventata e riscritta dallo stesso Pistoletto e ha girato il mondo tra esposizioni, festival e musei permanenti. Oggi la possiamo incontrare da Biella a Liverpool fino a Napoli dove la dea, notevolmente cresciuta nelle sue dimensioni, era stata posta il 28 giugno 2023 davanti alla sua montagna di stracci.

 

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Roghi di stracci, tra Napoli e le discariche a cielo aperto

Donata alla città da Michelangelo Pistoletto, e costruita per durare nel tempo, l’opera ha invece avuto vita breve: meno di due settimane. Allo spuntare dell’alba del 12 luglio una pira infuocata aveva invaso piazza Municipio: la Venere era andata a fuoco. Un’immagine simbolicamente carica che mostra come, volente o nolente, un’opera d’arte, quando ha un’anima, si muove da sola e dalle mani dell’artista prosegue il suo cammino: lasciandosi leggere e interpretare in continuo dialogo con il nostro sguardo contemporaneo e, quando si tratta di opere pubbliche, con il territorio.

 

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Sarà stato il calore estivo concentrato su una pila di abiti che sempre più frequentemente sono creati con materiali plastici che si surriscaldano facilmente, o un’inavvertita sigaretta segno della nostra distrazione, o ancora una volontà individuale sovversiva (per quanto il trentatreenne Simone Isaia, accusato del gesto, continui a negare un suo coinvolgimento) la pira che ha distrutto la dea della bellezza ci invita inevitabilmente a riflettere. E’ immediato l’accostamento del rogo degli stracci di questa Venere napoletana alle troppe immagini di discariche tessili in fiamme.

Da Dandora in Kenya, la più grande discarica di tutta l’Africa orientale, dove i vestiti bruciano, ogni giorno tutto il giorno, ad Atacama in Cile ove il deserto si sta ricoprendo di dune di stracci che prendono fuoco quotidianamente.

E forse in questo epilogo l’opera ha mostrato la sua massima espressione di contemporaneità: un monito verso il riscaldamento globale, verso il nostro sempre più vorticoso consumismo, verso la nostra disattenzione al Pianeta e alla bellezza della Natura.

La seconda Venere

Per la ricostruzione dell’opera è partita subito una campagna di crowdfunding organizzata dall’associazione L’Altra Napoli onlus di Ernesto Albanese, che si è poi fatta da parte per volontà dell’artista che ha scelto di finanziare interamente il lavoro e devolvere il ricavato della raccolta a sostenere il lavoro della cooperativa delle Lazzarelle e della Onlus La Scintilla, due associazioni napoletane impegnate nel Terzo settore, a sottolineare l’importanza del valore di rigenerazione dell’opera.

Per la ricostruzione dell’opera la scelta del Pistoletto è stata quella di assorbire nella nuova versione della Venere l’anima di quella precedente.

In questa scelta è contenuto un messaggio che fa di quest’opera una sorta di nuova Araba Fenice in grado di risorgere dalle proprie ceneri. Ciò che è accaduto con il rogo del 12 luglio scorso non viene quindi rimosso, ma diventa l’anima del nuovo. Oggi la Venere del Pistoletto non è la divinità che con il suo tocco trasforma il mondo rendendo arte ciò che consideriamo scarto, ma rappresenta lo sguardo impotente di molti abitanti del Pianeta attoniti davanti a qualcosa che soli non riusciremo mai a gestire, incapaci di un’inversione di marcia. E forse, viene da chiedersi, sarebbe stato un messaggio artistico più potente, lasciare le ceneri di questo rogo e l’anima della struttura esposti nella piazza, carichi della loro breve vita e dei contenuti che questo rogo avrebbe suggerito anche ai più frettolosi passanti.

 

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