Armeno chi ha inventato la birra, armeno chi ha tradotto la Bibbia in cinese, sono armeni i più bei bar di Parigi ed è armeno il più vecchio osservatorio del mondo (il Carahunge): a snocciolare la lunga e variegata lista al protagonista di Amerikatsi è un compagno di cella, armeno anch’egli.
Finestra sul passato
Il delizioso e malinconico film di Michael A. Goorjian, nelle sale italiane dal 16 gennaio con Cineclub Internazionale, dopo essere entrato in shortlist come miglior film straniero agli Oscar 2025, attraverso le sfortunate vicende di Charlie Bakhchinyan, interpretato dallo stesso Goorjian, offre al pubblico un’inconsueta finestra su una terra, l’Armenia, poco nominata e poco conosciuta dalle nostre parti (e forse lo sarebbe stata ancor di più se le celeberrime sorelle Kardashian non fossero originarie di Vagharshapat).
Una storia nella Storia
Come spesso capita, gli accidenti di Charlie si inscrivono sul solco della grande Storia: bambino durante il genocidio armeno da parte dell’Impero Ottomano nel corso della Prima Guerra Mondiale, al quale sopravvive grazie a una fortuita fuga negli Stati Uniti, torna alla ricerca delle sue radici all’indomani del secondo conflitto mondiale, nel 1945, ormai sotto il controllo sovietico. Nonostante l’amicizia con Sona (Nelli Uvarova), moglie di un funzionario russo, l’americano ingenuo e un po’ imbranato viene gettato in prigione, accusato di propaganda antisovietica.
Il teatro della vita
A salvarlo dalla disperazione è la vita che accade nell’appartamento su cui danno le sbarre della sua cella, abitato da Tigran (Hovik Keuchkerian), un pittore irascibile che di giorno fa la guardia alla torre del carcere, e la sua compagna Ruzan. Questo suo teatro improvvisato, che si snocciola di giorno in giorno dalle finestre di fronte, sarà anche un grimaldello per conoscere meglio e più da vicino, malgrado le distanze, la cultura della sua infanzia.
All’ombra dell’Ararat
Su entrambe le parti, veglia l’Ararat, mitica montagna dell’Arca di Noè e simbolo millenario di un popolo perseguitato e quasi distrutto, le cui radici sono state brutalmente tagliate e a cui è stato tolto per sempre il territorio ancestrale durante gli anni feroci del genocidio (genocidio che la Turchia continua ancora oggi a negare e che gli storici stimano sia costato la vita a circa 2/3 degli armeni dell’Impero Ottomano, quindi circa un milione e mezzo di persone).
Racconto universale
Con tocco leggero e una delicata poesia soffusa in tutto lo struggente racconto, Michael A. Goorjian, nato a San Francisco ma i cui nonni paterni erano sopravvissuti anch’essi allo sterminio armeno, mette in scena così la difficile situazione di quanti lasciano la propria terra natale: il cuore di Charlie è armeno, come armeni sono i suoi ricordi più dolci di bambino, ma dai suoi compaesani è diviso da una lingua che non conosce e da tradizioni che non gli appartengono più.
Le parole del regista
Ha detto il regista: «Musica, cibo, passione, generosità, amore per la vita: Amerikatsi celebra tutto questo e racconta al mondo aspetti e sfaccettature dell’Armenia, che sin dalla mia giovinezza avevo desiderio di scoprire e riconnettermi. Il sogno di Charlie di tornare nel suo Paese natio non riflette soltanto il sogno di molti che hanno fatto parte della diaspora armena, ma rappresenta il sogno di milioni di persone nel mondo che hanno un legame forte e ancestrale con il loro Paese nativo. Molti di noi sogniamo di riconnetterci con il nostro paese. Ma, come per Charlie, la realtà non sempre è come l’abbiamo immaginata».
La lirica della solidarietà
In mezzo, un’occupazione sovietica mostrata nei suoi tratti più macchiettistici ma non per questo meno drammatici. Se agli occhi di qualcuno il tono con cui viene tratteggiata la tragedia dei rimpatriati è sembrato poco rispettoso, sollevando da più parti le stesse rimostranze che aveva sollevato a suo tempo Roberto Benigni con La vita è bella, Goorjian ha dalla sua un’indubbia capacità nel tessere una lirica per immagini sulla solidarietà.
E a sopravvivere, alla fine, è l’intelligenza degli individui a restare umani.
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