“Re: Humanism”, l’arte racconta l’intelligenza artificiale

“Re: Humanism”, l’arte racconta l’intelligenza artificiale

Arte contemporanea nelle sue molteplici forme, dalla musica alle video installazioni. La mostra al Maxxi di Roma è un viaggio nelle intelligenze artificiali. Un progetto per indagare le complesse implicazioni di questo nuovo ambito del sapere, coinvolgendo professionalità umanistiche e scientifico-tecnologiche

Nel 2018 è nato il Re:Humanism Art Prize, un premio di arte contemporanea che invita gli artisti ad interrogarsi sul rapporto tra esseri umani e tecnologia. La seconda edizione del premio, declinata in cinque diverse aree tematiche, con il sottotitolo Re:define the boundaries, si è aperta nell’ottobre 2020, in piena pandemia, ed è oggi in mostra negli spazi del Maxxi di Roma. La prima tra le cinque macro tematiche con relative video installazioni proposte dal Premio riguarda i concetti di corpi e identità che, principalmente attraverso i social, stanno diventando fluidi e mutevoli.

 

 

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Corpi e identità

In molti sicuramente abbiamo quanto meno sentito parlare, in modo più o meno romanzato, dell’“algoritmo di Facebook”, un sistema di calcolo generato dalle nostre azioni nei social: un like, un commento, termini usati più frequentemente di altri, confluiscono in un database che creerà il nostro profilo identitario virtuale. Questo profilo ci collocherà poi nelle cosiddette “echo chambers”, una sorta di stanze concettuali virtuali che contengono i nostri stessi interessi, presentandoci un mondo sempre più simile alla nostra comfort zone dove l’esperienza del rapporto con la diversità è quasi del tutto annullata. A questo senso di identità creato ad hoc su modelli precostituiti e generalmente poco autentici, si va ad aggiungere la tematica del rapporto fisico tra i corpi, reso ancora più pericoloso dalla pandemia e sostituito spesso da relazioni virtuali. 

My beloved artist

Il racconto biografico personale tradotto in sistema algoritmico è provocatoriamente rappresentato da Epitaphs for the Human Artist, l’opera del collettivo Numero Cromatico. Qui troviamo un allestimento funebre dove si celebra la morte di un ipotetico artista ancora umano. Il testo dell’epitaffio è affidato al calcolo algoritmico dal quale risultano frasi di senso compiuto, criptiche come potrebbero essere antichi testi sacri o poesie futuriste. «Possiamo immaginare che in un futuro non molto lontano – sottolinea Daniela Cotimbo curatrice della mostra – affideremo la nostra memoria più intima a qualcosa di totalmente artificiale. Provocatoriamente gli artisti di Numero Cromatico riflettono sulla probabile nascita di artisti non umani e si interrogano sul senso di un’arte creata da macchine».

Tra tigri e coralli

La seconda tematica affrontata apre la riflessione sull’ecologia e sul futuro del nostro pianeta. Indubbiamente la pandemia ha portato ad un ampliamento del livello di consapevolezza legato all’incidenza delle scelte individuali. Tematiche quali il riscaldamento globale o l’inquinamento ambientale, che pochi anni fa erano percepite da molti come macro tematiche riguardo alle quali il singolo poteva fare poco, oggi sono comprese in modo più diretto e sempre più frequentemente determinano le nostre scelte quotidiane. L’attenzione all’ambiente emerge nei lavori del collettivo Entangled Others e in quello di Irene Fenara classificati rispettivamente al primo e al secondo posto. Con l’opera Beneath the Neural Waves, Entangled Others estrapola attraverso il deep learning modelli ricorrenti all’interno dell’ecosistema di una barriera corallina e li traduce in strutture tridimensionali. Prendendo spunto da questo ecosistema marino il collettivo propone una riflessione su nuove possibili forme relazionali, esempi di società interconnesse rette da forme di convivenze economicamente e socialmente vantaggiose per tutti, dove non ci siano dominatori e dominati.

Fragili felini

Contiene una chiara denuncia l’opera di Irene Fenara, Three Thousand Tigers. «Quando addestriamo un algoritmo di intelligenza artificiale – spiega ancora Daniela Cotimbo – e vogliamo che ci dia un risultato abbastanza attendibile, dobbiamo fornirgli moltissimi dati. Tremila dati sono pochissimi per un’intelligenza artificiale, eppure corrispondono al numero effettivo delle tigri ancora esistenti».  Simbolo di forza e potenza del mondo selvaggio, la tigre ci sta mostrando la sua fragilità e attraverso i numeri Irene Fenara ci pone davanti a dati oggettivi che rivelano priorità su cui l’essere umano si è basato per centinaia di anni. Priorità effimere che stanno logorando il complesso ecosistema in cui essere umano e natura potrebbero pacificamente interagire.  L’artista ha fornito all’algoritmo solo tremila dati per fargli ricostruire l’immagine di una tigre. Ne risulta un lavoro approssimativo molto più vicino ad un’opera astratta che all’idea di una tigre. La realizzazione finale è affidata all’opera di artigiani indiani secondo le tecniche degli arazzi. Questa scelta apre la riflessione sull’espropriazione del mondo naturale da parte degli esseri umani per futili fini estetici. Per secoli infatti le pelli degli animali sono state utilizzate per decorare. 

Quale intelligenza?

Terzo tema trattato è quello dell’antropologia delle IA. Qui i confini tra definizioni diventano sempre più labili. I concetti di vita, intelligenza, adattamento all’ambiente si coniugano  frequentemente con materie inanimate e ci si interroga su quanto queste categorie siano prerogative di definizione degli esseri animati. Si parla da tempo di memoria dell’acqua e sta avendo particolare risonanza l’opera How Forests Think, dell’antropologo canadese Eduardo Khon, una riflessione sulle foreste pensanti. Ma queste caratteristiche mentali non sono riconosciute solo ad elementi naturali, abbiamo anche tessuti intelligenti e ormai l’aggettivo smart è associato a svariati oggetti inanimati. L’intelligenza, il pensiero, la memoria, la furbizia, non sono più appannaggio esclusivo della mente umana. L’essere umano al centro del mondo torna a vacillare 

Ma dai! Ti stavo pensando proprio adesso…

Lo stimolo è quindi rivolto ad indagare il nostro rapporto con gli oggetti. Se ci risulta facile immaginare come un bambino possa umanizzare una bambola preoccupandosi che si faccia male cadendo, sicuramente ci risulta più difficile ipotizzare forme di vita collegate agli oggetti. Eppure molte persone nei lunghi periodi di quarantena hanno avuto come unici interlocutori gli oggetti casalinghi. L’opera (Non-)Human: The Muoving Bedsheet del newyorkese Yuguang Zhang riprende il filo dal rapporto con il proprio letto:

«Utilizzando un dataset di immagini con le pose assunte durante il sonno, l’artista ha addestrato una rete neurale a generare movimenti poi trasmessi alle lenzuola di un letto».

Il risultato è il letto dell’artista con le lenzuola che si muovono seguendo i suoi movimenti nel sonno. Davanti a quest’opera, terza classificata, è difficile non richiamare alla mente le memorie dei tessuti, primo tra tutti la Sindone. Tessuti che assorbono vissuti e li restituiscono in una sincope spazio temporale per cui in una mattina romana possiamo ritrovarci davanti ai probabili movimenti che stanno subendo le lenzuola di un letto oltreoceano. Viene da chiedersi quanto questo potrà aiutarci a potenziare la nostra sfera intuitiva relazionale che spesso ci stupisce mostrandoci sincronie di pensieri a distanza, o quanto invece la depotenzierà delegando a una nuova robotica  la certezza di quanto sta accadendo altrove. 

 

 

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Corpi come case

Un interessante studio sul rapporto con gli oggetti inanimati è proposto anche da Elizabeth Bowie Christoforetti e Romy El Saya con l’opera Body as Building. Qui il riconoscimento facciale si trasforma in strutture architettoniche per cui il volto di chi si sofferma davanti all’opera viene tradotto e restituito sotto forma di abitazione. La casa diventa un’estensione del corpo e l’urbanistica un’estensione dell’identità collettiva. Torna alla mente Mr Gwyn di Alessandro Baricco, dove il ritratto dei personaggi viene mostrato come luogo, trama, storia «Quel che dovremmo capire è che noi siamo tutta la storia, non solo il personaggio. Siamo il bosco dove cammina, il cattivo che lo frega, il casino che c’è attorno, tutta la gente che passa, il colore delle cose, i rumori». Oggetto inanimato, ambiente e individuo si fondono in una relazione in cui l’uno determina l’altro. 

Usi, abusi, fantascienza o…?

Il quarto tema affrontato riguarda gli usi e gli abusi delle IA e quindi i concetti di privacy e gestione dei database. «Gli artisti in mostra non si pongono con atteggiamento polemico nei confronti della tecnologia. Nella consapevolezza che le criticità esistono tentano piuttosto una rinegoziazione verso le nuove tecnologie, una comprensione che permetta un loro sano utilizzo. Ovviamente i problemi più evidenti riguardano i monopoli di chi detiene queste tecnologie», continua Cotimbo. D’altronde, la seconda edizione di Re:Humanism nasce dopo la decisione di diversi governi di bandire tecnologie di sorveglianza e di riconoscimento facciale. Non poteva mancare la tematica riguardante la fascinazione e al tempo stesso il timore legato alle esplorazioni più visionarie delle nuove tecnologie. Dal machine learning, alla robotica, alla computer vision:

«Questa è una mostra dove la tecnologia c’è ma non è predominante. Molte opere sono anche fisiche perché riflettiamo sul concetto di interfaccia, ossia l’estetica con cui le tecnologie arrivano a noi».

Tutto questo può apparire di difficile comprensione eppure sottolinea la curatrice «Il pensiero computazionale, ossia la capacità di ragionare in termini algoritmici, è molto antico nell’uomo». Il matematico francese Jean-Luc Chabert ha notato che «Gli algoritmi esistono dall’inizio dei tempi, molto prima che fosse coniata una parola specifica per descriverli». Gli fa eco il media filosofo Matteo Pasquinelli sottolineando, nel suo articolo Tremila Anni di Rituali Algoritmici come effettivamente si possano definire algoritmici i più antichi rituali del mondo.  

 

 L’algoritmo del Voynich  

Questa continuità tra un passato ancestrale ricco di misteri e un futuro imprevedibile è saggiamente contenuta nella prima opera che accoglie il visitatore alla mostra: una voce di bambina legge seguendo con il dito le parole scritte in un vecchio libro. La scelta di porre quest’opera all’ingresso ci permette di entrare lasciando andare le difese. Non si stanno programmando macchine che sostituiranno l’essere umano e abiteranno il pianeta al suo posto, si sta piuttosto offrendo lo spunto a un desiderio di ricucire passato e futuro, creare un ponte tra due terreni temporali ricchi entrambi di mistero. L’opera è di Mariagrazia Pontorno e si muove intorno al manoscritto Voynich, un codice illustrato dalle origini ancora misteriose risalente al XV secolo. Usando il machine learning e l’intelligenza artificiale, Potorno si spinge a tradurre parte del codice, manipolandolo soggettivamente ed affidando alla voce di una bambina una lettura immaginaria.  Tra le intuizioni dell’artista e l’algoritmo si crea un legame che permette una traduzione. Emergono frasi di senso compiuto che nella voce della bambina si mescolano a un pensiero magico e irrazionale, importante memoria di un tempo in cui pensiero scientifico e misticismo coincidevano.

La mostra sarà accompagnata da una serie di incontri e video conferenze con esperti di intelligenza artificiale, artisti ed intellettuali. Qui il calendario

 

Saperenetwork è...

Dafne Crocella
Dafne Crocella
Dafne Crocella è antropologa e curatrice di mostre d’arte contemporanea. Dal 2010 è rappresentante italiana del Movimento Internazionale di Slow Art con cui ha guidato percorsi di mindfulness in musei e gallerie, carceri e scuole collaborando in diversi progetti. Insegnante di yoga kundalini ha incentrato il suo lavoro sulle relazioni tra creatività e fisicità, arte e yoga.
Da sempre attiva su tematiche ambientali e diritti umani, convinta che il rispetto del proprio essere e del Pianeta passi anche dalla conoscenza, ha sviluppato il progetto di Critica d’Arte Popolare, come stimolo e strumento per una riflessione attiva e consapevole tra essere umano, contemporaneità e territorio. È ideatrice e curatrice di ArtPlatform.it, piattaforma d’incontro tra creativi randagi.

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