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L'annuncio della Biennale alla presenza di 20 degli artisti coinvolti (Foto: gazabiennale.org)

Biennale di Gaza, arte oltre la sopravvivenza

Artisti palestinesi lanciano un appello alle gallerie e ai musei nazionali del mondo per realizzare con le loro opere un’esposizione. Che vuole essere un messaggio di resistenza e una promessa di vita
19 Dicembre, 2024
3 minuti di lettura

Vivono sotto assedio e stanno lottando per i beni di prima necessità: e vogliono allestire una mostra su un palcoscenico mondiale. Sono artisti palestinesi, circa cinquanta, tutti da territori occupati. Il progetto, promosso dall’Al Risan Art Museum della Cisgiordania, e reso noto qualche settimana fa dal Guardian, è quello di una Biennale di Gaza. Un quarto degli artisti ha oltrepassato i confini per l’Egitto all’inizio della guerra. Per chi è rimasto in patria saranno necessarie delle soluzioni creative e “di emergenza” per far arrivare la loro arte oltre le linee di assedio. Una parte di questi lavori, infatti, verrà esposta in patria ma l’intenzione è quella di riuscire a esporre anche all’estero. Alcuni artisti hanno deciso di affidare i loro lavori a operatori umanitari, cui sporadicamente viene permesso di attraversare il confine. Altri invieranno le opere in forma digitale come fotografia o video. Pochi sono quelli che sono riusciti ad attivare una collaborazione con artisti della Cisgiordania per ricostruire da remoto la loro arte.

Fare arte sotto il fuoco nemico

L’esposizione vuole rappresentare un atto di difesa contro l’assalto militare israeliano e al contempo un’occasione per richiamare l’attenzione sulla situazione vissuta da 2.3 milioni di persone su un territorio colpito da oltre un anno di bombardamenti. La biennale è stata immaginata da subito come una prova artistica della vittoria della vita di fronte al tentativo di privare i palestinesi di Gaza della loro umanità. «La guerra ci ha privati di molte cose e di molte persone e continua a rubare tutto e, nonostante ciò, il mondo resta ancora in silenzio» ha detto Tasneem Shatat al Guardian, ventiseienne di Khan Younis tra i promotori dell’idea. «Vogliamo che le grandi istituzioni internazionali ospitino questi disegni e dipinti, che li mettano in mostra. Noi racconteremo quelle storie che il mondo conosce già bene, ma vi racconteremo anche della rinascita dell’oscurità dell’ingiustizia, vi racconteremo della vita in mezzo alla morte».

La raccolta fondi online

Shatat e l’artista Andreas Ibrahim hanno fondato l’Al Risan Art Museum e ora hanno avviato un crowdfunding online per raccogliere 90mila dollari, necessari a finanziare la pratica artistica nella Striscia di Gaza e l’organizzazione della Biennale. Nel manifesto che lancia la Biennale di Gaza gli artisti dicono che essa rappresenta «un passo creativo al di fuori della cornice tradizionale delle esposizioni. Riflette la sensibilità e la specificità della loro situazione, rendendolo un evento urgente ed eccezionale. Al cuore della proposta artistica c’è la lotta delle persone per sopravvivere». Nel manifesto gli artisti si chiedono «La dimensione più glamour del mondo dell’arte è in grado di gestire la realtà di Gaza?».

Messaggi di vita nel caos di un genocidio

Colpisce la volontà di resistere e di superare la mera sopravvivenza che contraddistingue questi artisti. C’è chi nell’arte vede uno strumento di comunicazione, un modo di lanciare un messaggio politico ma anche una grande possibilità per ritrovare la bellezza, per dimostrare che i palestinesi non potranno mai essere privati della loro umanità, del loro coraggio e della loro arte. Muhammad al-Hajj, artista di 42 anni e insegnante ora rifugiato nel campo di Nuseirat (nell’area centrale della striscia di Gaza), ha cercato in tutti i modi di continuare a disegnare, anche mentre lui e tutti gli altri intorno a lui stanno lottando ogni giorno per ottenere beni di prima necessità. Il lavoro di Hajj, sin dai primi bardamenti, si è concentrato su disegni allegorici che raccontano le sofferenze dei palestinesi. Esso verrà reinterpretato da un artista della Cisgiordania o fotografato in alta definizione e inviato per essere stampato all’estero. «Attraverso l’arte, mandiamo un messaggio al mondo: noi siamo ancora vivi, fin quando possiamo ancora respirare possiamo accendere una luce su tutto ciò che sta accadendo qui» ha detto Hajj al Guardian.

Dignità e resistenza

Rufaida Sehwail, era un’insegnate e professoressa di arte ma all’inizio della guerra, a ottobre dello scorso anno, la sua casa è stata bombardata, la sua famiglia allora è stata costretta a farsi strada tra le macerie per cercare amici e vicini tra le strade del quartiere di Rimal, a Gaza City. «Questa esperienza non finisce con i bombardamenti – questi momenti portano con loro un misto di paura, shock e impotenza, e le cicatrici durano per lungo tempo,» ha detto Sehwail. I bombardamenti hanno distrutto 17 anni del suo lavoro di artista e una biblioteca personale di circa mille volumi. Da allora la sua è diventata una vita nomade, sempre in fuga dalle bombe. Oggi Sehwail ha 37 anni, è stata sfollata 7 volte e vede la Biennale di Gaza come un’opportunità per un nuovo inizio, come artista e come persona. «Continuare a creare arte nel mezzo della guerra e dell’oppressione a Gaza non è solo un atto creativo, è un atto di resistenza e di sopravvivenza in sé» ha detto al Guardian.

«Mentre Israele si concentra sul cancellare la vita e la cultura a Gaza, il mio continuare a fare arte prova che la vita va ancora avanti, e che l’identità palestinese non verrà cancellata.»

Il potere dell’arte

Dipenderà dall’intervento di gallerie d’arte e musei nazionali all’estero rendere il progetto realtà. Shatat sa che non sarà facile ma ha la certezza che «I lavori di tutti gli artisti usciranno. Vedranno la luce, e supereranno barriere, confini, e leggi, e il mondo intero li vedrà. Questo è il potere dell’arte».

 

 

 

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Francesca Santoro
Francesca Santoro
Laurea in comunicazione, specializzazione in marketing e comunicazione nel Non Profit. Per 15 anni si è occupata di comunicazione e progettazione formativa in particolare nell’ambito del consumo critico e del commercio equo, trattando temi quali l'impatto delle filiere su persone, risorse, territori. Dal 2016 crea contenuti online per progetti, associazioni, professionisti.
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