Da alcuni anni un microinsetto sta succhiando la linfa del Pinus pinea, il Pino da pinoli, il meraviglioso albero che orna le ville e i giardini di una buona parte dell’Italia con in testa Roma. Questo animaletto si chiama Toumeyella parvicornis, comunemente detto cocciniglia tartaruga dei pini. Dal 2018 l’allarme era stato dato a livello di servizi specializzati e di istituzioni che controllano l’andamento di una massa sterminata di muffe, funghi, batteri e virus che, grazie alla globalizzazione, arrivano in Europa da ogni angolo del mondo. Inutilmente
La cura c’è ma costa cara, come quella che avrebbe evitato la morte di centinaia di migliaia di palme che ornavano lungomari e lungofiumi, palme uccise dal Rhynchophorus ferrugineus, un coleottero della grande famiglia dei curculionidi, comunemente chiamato punteruolo rosso. Per non parlare della Xilella fastidiosa e della strage di ulivi.
C’è conoscenza del pericolo che incombe sui pini, se ne parla e se ne scrive ma non a livello dei media a larga disinformazione di massa. Nel periodo della chiusura per Covid-19 il lavoro della cocciniglia tartaruga è andato aumentando a dismisura al punto che i pini son diventati sia nerastri che biancastri, mostrando paurose crepe nella corteccia. Gli aghi sono ispessiti da collosità nerastre e precipitano a terra ricoprendo parte del verde dei prati, a tonnellate. È un disastro annunciato. I più bravi, inascoltati, addirittura parlarono di un primo arrivo di questo insettino minuscolo già nel 2005. Pensiamo per un attimo al famoso poema sinfonico in La Maggiore di Ottorino Respingi, “Pini di Roma”, 21 minuti di musica diventata famosa, pensate, soprattutto in America, dove viene eseguita spesso da grandi filarmoniche made in Usa. Combinazione vuole che questo malefico microbo provenga proprio dalle Americhe, Usa e anche Canada, nascosto dovunque capiti via marina o aerea. C’è di più. Un altra cocciniglia, il Matsucoccus feytaudi, è arrivata dalle stesse aree geografiche e si mangia, piano piano, altre specie di pini in tutto l’areale mediterraneo.
Vogliamo far finta di niente? O fare di tutto per salvare i nostri pini? In attesa di lanciare una petizione pubblico una serie di miei lavori (uno terribile) per render loro omaggio con la speranza di rivederli verdi nelle chiome e vivi nei tronchi. E non precipitati a terra, uno dopo l’altro, con un colpo di vento.